A un tratto si aprì il portoncino d’ingresso che dava su un piccolo disimpegno proprio di fianco alla cucina.
“Il primogenito è appena tornato e già bisogna ricominciare a lavorare per lui.”
Sulla porta di cucina si affacciò Cesare con la valigia di Biagio in mano.
“Ho visto la tua macchina in piazza e sono corso per salutarti e, in fondo alle scale, ho trovato questa – disse, alzando la valigia – un bel bigliettino da visita. Eri troppo stanco per portarla fin quassù?”
Biagio si alzò.
“No, scusa. L’ho dimenticata. Ho preso in braccio Ida e mi sono dimenticato della valigia.”
Gli andò incontro; Cesare posò la valigia a terra.
Per un attimo i due fratelli si guardarono con disagio, poi si abbracciarono con vigore ed emozione trattenuta.
“Bentornato.”
Disse Cesare.
Ida li osservava, attenta: era felice.
Ci fu ancora qualche istante di silenzio intenso, poi Cesare riprese a parlare.
“E veramente una gran gioia che tu sia tornato, ci sei mancato molto… e poi non mi piaceva per niente l’idea di saperti in giro a vivere alla giornata, senza un vero lavoro, senza affetti. È bello che tu sia qui, di nuovo.”
“Anch’io sono contento di essere qui, ma non devi credere che in questi mesi io abbia fatto una vita da cane barbone: ho visto tante cose, ho conosciuto un po’ di mondo e un po’ di gente, mi sono fatto qualche amico… Il problema, lo sai, è che quando sono a casa sento fortissimo il bisogno di andare, di sperimentare, di vedere, ma quando sono via cresce fortissimo il richiamo delle radici: i ricordi sono duri a morire e ti avvinghiano inesorabilmente legandosi al bisogno di agguantare il nuovo. Ti confondi, è una vertigine che non riesci a dominare. Che io non riesco a dominare.”
Cesare guardò Ida sconsolato.
“E tornato più scemo di quando è partito.”
Commentò.
Ida invece ascoltava affascinata il fratello maggiore.
“No, è solo più sensibile di noi.”
Disse la bambina.
Biagio si accese un’altra sigaretta.
“Fumi ancora molto?”
Chiese Cesare.
“Abbastanza.”
“Secondo me in nessun luogo del mondo potrai trovar pace se non l’avrai trovata prima dentro di te.”
Osservò Cesare.
“Ma chi vuol avere pace – replicò Biagio, quasi con rabbia – io cerco sostanza, io cerco un motivo alla mia vita; un motivo che non sia dettato dalle convenzioni, dalla società, dai soldi, dal dover o non dover fare imposto dagli altri.”
“Se continui cosi ti ritroverai a dover vivere da solo, come un eremita, un disadattato. E magari sarai costretto a disturbare e a far soffrire chi ha provato a volerti bene.”
Ci fu un attimo di silenzio, poi Cesare continuò, parlando quasi per caso, come se non volesse dire la frase che stava dicendo.
“Sai, Giulia non sta affatto bene…”
“Giulia – troncò Biagio – Giulia mi conosceva bene, ha sempre saputo come la pensavo, cosa volevo e, almeno a parole, spesso mi ha condiviso, ma quando ho avuto bisogno, quando è stato il momento di muoversi realmente in sintonia con me non mi ha capito, mi si è rivoltata contro, mi ha lasciato nella mia confusione …”
Biagio si era seduto con un gomito appoggiato al tavolo e parlava, con calore, muovendo le mani davanti a sé e facendo cerchi con il fumo della sigaretta. Cesare, in piedi, gli si avvicinò e gli appoggiò le mani sulle spalle.
“Ma che dici – lo interruppe – Giulia non poteva certo seguirti nel tuo stupido girare. Giulia vuole studiare, vuole laurearsi, vuole diventare ingegnere e lo fa dovendo anche lavorare per aiutare la famiglia. Giulia è una ragazza che ha le spalle larghe e le idee chiare, conosce il senso del dovere verso se stessa e verso chi le sta vicino.”
“Com’è brava Giulia!- esclamò Biagio con tono sprezzante – e come sei bravo anche te; perché non te la sposi se ti sta tanto a cuore?”
“Sei appena tornato e già ti prenderei a calci!”
“Vogliamo divertirci?”
Disse Biagio alzandosi in piedi in modo provocatorio.
“Siete due stupidi! – intervenne Ida – Stupidi e cattivi! Perché fate così, invece di festeggiare ed essere felici?”
I due fratelli si calmarono subito.
“Dai, stavamo solo scherzando – disse Biagio accarezzando la sorella – e poi questo tontolone le ha sempre prese: lo sa bene che non può far altro che scappare…”
“Già scappare, io!”
Sorrise Cesare.
Cesare era più giovane di due anni rispetto a Biagio, ma in famiglia era sempre stato considerato, e si era sempre dimostrato più concreto e razionale di Biagio; sapeva quello che voleva, sapeva quali erano i suoi doveri e i suoi compiti: studiava, faceva sport, aveva una ragazza fissa, molti amici; aiutava i genitori sul lavoro, trovava il tempo di divertirsi e di dedicarsi al volontariato.
Biagio, invece, non faceva nulla di tutto questo e non aveva mai trovato un momento di calma nella sua vita e non l’aveva mai fatto trovare alla sua famiglia: era un irrequieto, un poeta, un filosofo del disagio, uno perennemente scontento, uno assolutamente refrattario alla tranquilla vita piccolo borghese e provinciale.
Ida lo venerava perché, nessuno come lui aveva mai saputo raccontargli fiabe così fantasiose o nessuno come lui gli leggeva così bene i racconti, nessuno era così dolce e tenero come lui, nessuno era bello come lui.
Biagio apri la valigia, dentro tutto era in disordine, confuso.
“Non era cosi quando son partito ieri – si giustificò vedendo la faccia disgustata del fratello – è che alla frontiera con la Svizzera mi hanno fatto aprire tutto.”
“Chissà come mai…”
Disse Cesare.
“ Già, chissà! Comunque ho un po’ di cose per voi.”
Poi Biagio cominciò ad estrarre dalla valigia sacchetti e pacchetti di ogni genere: da ogni città, da ogni villaggio in cui era passato aveva raccolto ricordi, ninnoli e oggettini caratteristici, soprattutto per la sorella.
“Tutta questa roba ti servirà più di un libro di geografia sull’Europa – le disse con una punta d’orgoglio – A te, Cesare, ho pensato un po’ meno, ma non perché non ti voglio bene …”
La bambina era estasiata: apriva e scartava con gli occhi pieni di gioia e curiosità e non sapeva più dove guardare.
Di ogni oggetto chiedeva al fratello maggiore notizie e spiegazioni.
Cesare osservava i due fratelli con affetto e commozione: gli parevano due bambini la mattina di Natale.
Si aprì, di nuovo, la porta d’ingresso ed entrarono i genitori: anche loro avevano riconosciuto la macchina parcheggiata sulla piazza ed erano corsi in casa. Ansimanti, accaldati per aver salito in fretta le scale, emozionati abbracciarono il figlio e lo baciarono.
La madre piageva e ripeteva all’infinito:
“Ora non te ne andrai più e staremo tutti bene, vero?”
Il padre aprì una vecchia bottiglia di cognac e la offri per festeggiare.
Chiacchieravano, eccitati e felici.
Biagio descriveva i luoghi visti, le cose che aveva fatto: vedeva i volti sorridenti dei suoi familiari e, dentro sé, si commuoveva per la loro contentezza, ma non si sentiva a posto, era un diverso, uno che si trovava li per caso, l’unica nota stonata in un ambiente che, senza di lui, senza la sua mente instabile, avrebbe potuto essere veramente, serenamente armonico.
Andarono tutti a letto dopo ore trascorse nel tentativo di riammagliare il filo della loro vita familiare.
Biagio non riuscì subito a dormire, gli passavano davanti i suoi anni giovanili, i suoi amici, Giulia, gli ultimi mesi trascorsi in vicende più o meno limpide tra la Germania e l’Olanda e, ancora, non capiva cosa avrebbe dovuto fare il giorno dopo; forse cresceva in lui la paura di dover diventare grande, vivere il presente e abbandonare le speranze sul futuro.
Dormì, poi, improvvisamente, di un sonno pesante e profondo.
Fine parte seconda – continua –