Era di nuovo fermo a un semaforo: davanti a sé la strada per il paese e il tentativo di ricucire il passato con il futuro, a sinistra la deviazione per l’autostrada e la rottura poetica e titanica con la propria esistenza per inventarne un’altra.
“Non esiste poesia nella vita – disse ad alta voce – c’è l’affermazione dell’individuo o la caduta nel ridicolo della sconfitta e dell’emarginazione.”
Si accese il verde.
Tirò dritto verso il paese, ma era certo di aver perduto la gioventù e di aver abbandonato buona parte di se stesso.
Fece solo un paio di chilometri, poi si fermò di nuovo, questa volta al self service di un distributore di carburante.
Davanti a lui una bionda ventenne cercava di chiudere il tappo del serbatoio della sua Y10, con un fazzoletto di carta in mano stava attenta a non sporcarsi.
Indossava slanciati e lucidi decolletè dal tacco alto e fino, calze fumé con la riga, minigonna morbida e modellata, camicetta bianca sotto una giacca a vento color panna.
Aveva belle mani curate e un bel viso giovane e consapevole.
“Finalmente qualcosa di buono sulla mia strada!”
Disse Biagio rivolto alla ragazza.
“Ancora un cretino sulla mia.”
Rispose lei salendo sull’auto.
Il giovane le si avvicinò con un sorriso sforzato.
“Sei bella, è vero – le disse – ma questo non ti autorizza a essere cattiva. Io sto soffrendo per amore, la mia vita oggi è triste: sono perduto. Dimmi una parola buona, dammi un segno d’aiuto, ti prego.”
Biagio si mise in ginocchio davanti al finestino aperto.
“Vai al diavolo.”
Rispose la ragazza e partì.
Lui si alzò:
“Non c’è più umanità.
Sussurrò.
Si frugò in tasca, tirò fuori diecimila lire:
“E sono quasi finiti i soldi.”
Concluse.
Mise la benzina e riparti.
Aveva fame, ma non aveva voglia di tornare a casa.
Giunto al paese proseguì sulla strada di montagna, dal finestrino aperto assaporava con piacere l’aria fresca e leggera e provava una nuova sensazione di libertà e serenità.
Rivedeva finalmente da vicino quelle magiche montagne segnate profondamente dal lavoro dell’uomo, scavate con tutti i mezzi, ammirava ancora quegli incredibili forzieri di ricchezza.
Le dritte pareti di marmi rimodellate dall’uomo erano da decenni il pane e le lacrime di intere generazioni di cavatori, le inconsapevoli benefattrici e aguzzine, levatrici e assassine.
Il loro fascino, dolce e terribile, lo aveva avvinto fin da quando, bambino, aveva percorso sulla macchina del padre la panoramica strada di Arni e ne aveva subito le curve nauseanti.
Si ricordava quando, all’inizio degli anni settanta, da quella strada era passata la carovana del Giro d’Italia e con suo padre e suo fratello era andati su, in cima alla salita, per vedere il gruppo dei ciclisti colorato, lento e sgranato: ma quelli gli erano sfilati davanti tutti insieme, in tre secondi, e non c’era stato verso di riconoscere Merckx, Motta, Gimondi.
Neanche a dirlo, era stato molto meglio un paio di anni dopo vedere a Forte dei Marmi, sul lungomare, la gara a cronometro del Giro d’Italia. Quella volta i ciclisti si poterono vedere e riconoscere benissimo e più volte.
Quella volta i corridori gli passarono tutti a pochi metri da naso, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, con il volto tirato dallo sforzo estremo e le gambe lucide e potenti.
I luoghi sono come le persone: alcuni sono baciati dalla fortuna e altri sono destinati alla fatica e alla sofferenza.
Ora la salita volgeva al termine: di fronte al muso dell’auto di Biagio si presentò il buco nero della Galleria del Cipollaio, unico collegamento stradale diretto tra la Versilia e la Garfagnana, a sinistra si staccava la ripida salita per le cave di arabescato delle Cervaiole: ancora marmo, ancora natura generosa ma infida.
Biagio aveva fame.
Passata la Galleria del Cipollaio, in pochi minuti, Biagio giunse al paese di Arni.
Terra di cavatori e commercianti, Arni sembra un paese isolato, nascosto al mondo, lontano da tutto e da tutti, ma una curiosa caratteristica lo rende interessante e rende molto particolari i suoi pochi abitanti.
Arni è un crocevia, un punto di contatto di tre regioni e civiltà: la Versilia dispendiosa e aristocratica, la Garfagnana accorta e montagnina e la provincia di Massa straniera e sanguigna.
Biagio parcheggiò e scese davanti alla piccola trattoria del paese.
Faceva freddo, ma il clima non era ancora gelido e la giornata di sole rendeva allegra l’aria.
Entrò.
C’erano un paio di clienti al bar con la tazzina del caffè in mano: si voltarono a guardarlo con aria interrogativa. La signora anziana, dietro il banco, si asciugò le mani al pannello a quadri che teneva legato in vita e silenziosamente interrogò con lo sguardo il giovane avventore.
“Buongiorno – disse il ragazzo – vorrei mangiare qualcosa.”
La signora guardò l’orologio: erano già passate le due.
“A quest’ora, bimbo, un’è che si possin fare de’ pranzi. Se volete un po’ di minestrone o un panino ve li posso preparare.”
“Va, bene, va bene signora: sia il minestrone che il panino. E un bicchier di vino.”
“Accomodatevi in sala, allora.”
Disse lei.
Era l’unico cliente.
Si mise seduto vicino alla finestra, poi si rialzò.
Chiese il telefono e chiamò.
“Sono io… no, mamma non vengo a pranzo… mi dispiace… sì, lo so che sono tornato ieri sera… ho avuto dei problemi… no, no digli a Cesare che va tutto bene… sì stasera, sì me lo ricordo… sì, sì dallo zio… no, va tutto bene, non stare in pensiero.. saluta Ida… ciao, ciao.”
Tornò al tavolo, qualcuno aveva apparecchiato. C’erano anche la caraffa del vino, Il pane e un pacchetto di grissini.
Seduto vicino a una finestra dal telaio antico, guardò fuori: davanti a sé la grande, ripida parete grigia della montagna con la bianca vetta di marmo mozzata e squarciata e, in cima, come antenne, le lunghe braccia delle gru.
Si vedeva attaccato alla parete grigia del monte un camion, carico di un enorme blocco squadrato, scendere con sicurezza la strada tortuosa della cava.
Pareva, da lontano, che quella discesa non fosse cosa possibile, tanto la via era assurdamente ripida.
Una voce di donna, lo avvisò.
“Ecco la sua minestra.”
“Che spettacolo stupendo.”
Mormorò lui senza girare lo sguardo.
“Sono montagne maledette.”
Ribattè la donna.
Biagio si voltò sorridendo con ironia.
“Sono benedette: danno la ricchezza alla nostra gente.”
Alzò lo sguardo e incrociò il viso e lo sguardo di una donna ancora giovane.
Aveva un volto strano, non usuale dolce ma spigoloso: affascinante e bello, ma non sereno.
“Danno lavoro a molti di noi quelle montagne, ma non la ricchezza. La ricchezza è di pochi. A molti danno il pane, ad alcuni hanno dato la morte.”
“Non credo sia colpa delle montagne.”
“Mi scusi – disse la donna – non volevo disturbarla.”
“Non si preoccupi, anch’io, oggi, non sono molto allegro.”
La donna fece per andarsene, ma lui la trattenne.
*Signora, mi dispiace di aver detto cose che non le piacciono… ma non credevo… si, insomma, pensavo che voi foste orgogliosi di questi posti.”
“Mio marito è morto lassù, due anni fa, schiacciato sotto una ruspa. L’hanno portato giù che era vivo. Ma da qui all’ospedale ci vuol tempo. A Seravezza era ancora vivo, ma lì non hanno potuto operarlo. Hanno dovuto portarlo a Pisa: altri trenta chilometri … è arrivato morto.”
“Mi scusi, veramente, le chiedo scusa…”
“Non si preoccupi, mangi la sua minestra O le fredderà.”
“Non se ne vada…”
“Devo andare, io qui ho finito e devo andare a casa. Sta per tornare mio figlio da scuola e devo dare da mangiare anche a lui. Arrivederci.”
“Arrivederci.”
Il giovane osservò la donna uscire dalla sala, ammirò la linea fine e lunga della nuca e del collo scoperto dai capelli legati sulla testa.
“Così bella e così triste.”
Pensò e si mise a mangiare controvoglia.
Mangiò con estrema lentezza guardando le montagne che s’impennavano davanti ai suoi occhi. Cercò, a lungo, di annullarsi nelle pareti grigie e, più in alto, nel cielo azzurrino. Fin da piccolo aveva imparato che gli unici momenti privi di tensione e di apprensione e colmi di serenità, per quanto fugace, poteva assaporarli quando riusciva ad eliminare anche la propria stessa presenza: il nulla corrispondeva, per lui, al sereno, all’assenza di dolore.
“Giovanotto, le serve altro?”
Domandò con tono autoritario l’anziana padrona della trattoria.
“No, grazie – rispose Biagio scuotendosi – sono a posto così. Mi faccia il conto.”
Si versò un bicchiere di vino e lo bevve d’un fato, si alzò, andò al bancone a pagare e usci nell’aria frizzante di dicembre.
In strada non c’era nessuno: sembrava un paese fantasma emerso, per un gioco del destino, dal nulla.
“Il nulla – pensò Biagio – è forse l’unica realtà. Non c’è un vero scopo O un motivo all’esistenza. Tutto è solo un teatrino del dolore e dell’incomprensione di fronte all’eterno e all’immenso. E nell’eterno e nell’immenso ogni cosa perde significato e valore: scompare. L’eterno e l’immenso finiscono nel nulla e al nulla non si può sfuggire.”
Sali in macchina.
Si accese una sigaretta. Accese il motore e prese la via del ritorno con gesti privi di reale volontà. Inflò la galleria del Cipollaio, come sempre priva di illuminazione e sconnessa: il buio lo inghiotti e avvolse.
Improvvisamente gli tornò alla mente una pagina dell’Ortis letta chissà quando e si mise a recitarla ad alta voce.
“… or tu non proferire sulle mie ceneri la crudele bestemmia: chi vuol morire non ama nessuno. Che non tentai sopra di me? che non feci? che non dissi a Dio? ah la mia vita purtroppo sta tutta nelle mie passioni; e se non potessi distruggerle meco – oh a che angoscie, a che spasimi, a quanti pericoli, a quali furori, a che deplorabile cecità, a che delitti non mi strascinerebbero a forza!”
Ora la galleria stava finendo e l’occhio bianco dell’uscita chiamava a gran voce Biagio e lui lo abbracciò, rapito.
All’uscita dalla galleria la strada curva a sinistra, a dritto c’è un spaventoso strapiombo.
Biagio aveva laciato il volante e chiuso gli occhi.
Dietro a se sentì la voce di Ida, come fosse seduta sul sedile posteriore.
“Biagio ti aspetto a casa – disse la bambina – ti prego non tardare. Ho voglia di abbracciarti e baciarti e sentire la tua voce. Tu mi dai gioia fratellomi mio e senza di te non sono felice.”
Il ragazzo ricordò come un lampo ciò che aveva deciso la sera prima: “Ida non avrebbe più pianto, mai più pianto di dolore per causa sua.”
Cercò allora il freno disperatamente, cercò il volante disperatamente.
Aprì gli occhi terrorizato, senza fiato, disperato.
Non stava precipitando in uno strapiombo: la sua auto era ferma a bordo strada, il motore era spento, Biagio aveva il cuore che gli batteva in petto impazzito.
Il ragazzo capì che la galleria era alle sue spalle, la pianura versiliese era in basso davanti a lui e realizzò che qualcosa di inspiegabile gli aveva salvato la vita.
FINE