Erano quasi le nove di sera quando Biagio parcheggiò la sua auto nella piazza del paese: guidava da diverse ore e dopo avere spento il motore sospirò lentamente cercando di rilassarsi e di riordinare le idee.
Rimase un attimo immobile, attaccato al volante, come per raccogliere le energie e le forze, poi si accese una sigaretta e si abbandono sul sedile appoggiandosi allo schienale.
Era partito da Seravezza sette mesi prima, deluso e arrogante, deciso a chiudere la partita con il passato, a lasciar perdere la famiglia e gli amici, convinto di poter dimenticare la sua storia con Giulia.
Ora, con il fumo della sigaretta, assaporava il gusto agrodolce della resa: il tempo e la distanza non erano riusciti a staccarlo definitivamente dal suo passato.
Lo spazio mentale dedicato alla memoria era, negli ultimi mesi, cresciuto con prepotenza.
L’irresistibile richiamo dei ricordi e la stretta di mille radici che ancora lo tenevano saldamente attaccato alla sua storia umana lo avevano fatto tornare sui suoi passi e il passato, quel passato che aveva sperato di poter dimenticare, senza rimpianto, tornava prepotentemente alla ribalta prendendosi la sua rivincita.
Biagio era consapevole di aver fallito la sua fuga verso il nuovo e verso il diverso; sapeva di aver perduto la possibilità di ricrearsi, di farsi da solo, finalmente, con la propria testa e le proprie mani.
Quel giovane uomo capiva bene di aver mancato il volo verso il futuro, verso una vita costruita secondo le esigenze personali, lontano dai compromessi quotidiani del suo vecchio mondo provinciale.
Capiva tutto questo, ma Biagio, non era abbattuto, anzi accettava, ora, la realtà con sufficiente ironia.
Spense la sigaretta, scosse le spalle e, tra sé, sorrise.
Prese la valigia dal sedile posteriore e scese dalla macchina guardandosi intorno, cercando di scoprire qualche novità in quelle vie, sui platani della piazza, sui muri delle case.
Tutto era invece inevitabilmente immutato.
Sorrise di nuovo per la sua ingenua aspettativa.
La temperatura era molto bassa e le strade del centro, affollate fino a poco prima, erano ora deserte: tutti i negozi erano ormai chiusi, ma nelle vetrine decorate a festa brillavano instancabili gli addobbi natalizi e i brevi e multicolori bagliori delle luci intermittenti rimbalzavano all’esterno spezzando, a tratti, il buio della sera.
Soltanto i bar erano ancora aperti, i due bar della piazza; ma i vetri, appannati dal caldo e dal fumo delle sigarette, non lasciavano vedere che le sagome degli uomini che ancora si attardavano a bere e parlare.
Passò una moto, veloce e rumorosa; poi, più lentamente, si avvicinò un motorino: sbandando e reggendosi a stento in equilibrio un ubriaco cercava di raggiungere casa o, forse, cercava un nuovo bar.
Biagio alzò un poco lo sguardo e vide le sagome scure dei monti che facevano da corona al paese; li sentì vicini e vivi, nel silenzio sentì il vento correre tra le fronde e tra i rami.
Rimase ancora fermo, in ascolto, e udì anche il suono del fiume: pensò a quel continuo andare e. ricordò di quando, ragazzo, passava le tranquille notti d’estate ascoltando affascinato la musica dell’acqua del fiume che scorreva sotto la finestra aperta della sua camera da letto.
La porta di un bar si aprì improvvisamente, uscirono due o tre uomini accaldati che discutevano animatamente e ad alta voce di carte, di punti e di un asso giocato male.
“Ecco, l’incantesimo si è rotto – pensò infastidito – e appare la dura realtà.”
Posò la valigia a terra, cercò nelle tasche del cappotto Il pacchetto delle sigarette e se ne accese una.
Riprese la valigia e lentamente si avviò verso casa. Presto fu davanti al portone, ma non suonò subito il campanello; pensò di nuovo a Giulia: forse sarebbe stato giusto andarla a cercare e vederla per prima, ma cosa dirle?
“Eccomi qua, dove eravamo rimasti?”, oppure “Ti amo, più di prima!”: tutto sarebbe stato tremendamente ridicolo e imbarazzante.
Non lo spaventava l’idea di vedersi sbattere la porta in faccia; era come terrorizzato dalla paura di essere accolto con indifferenza, di non rappresentare più niente non solo per il futuro, ma neanche per il passato.
Decise di parlare prima con Cesare, suo fratello: era lui, in fondo, che gli aveva scritto e telefonato in tutti questi mesi e che, alla fine, lo aveva convinto a tornare.
Suonò il campanello della sua casa sperando di trovarlo subito in casa.
Si apri una finestra, al secondo piano, e si affacciò Ida, la sorella più piccola, il cucciolo di casa.
“Sono io – disse con tono naturale – sono Biagio, apri la porta.”
La bambina cercò di fendere il buio della sera, ma distingueva solo la sagoma bruna di un uomo nella strada.
“Biagio? Sei proprio te?”
Chiese con sorpresa ed emozione.
“Certo che sono io, apri la porta.”
Il portone d’ingresso si aprì con uno scatto, il giovane entrò e si senti avvolgere da uno stato d’ansia e di sgomento.
Cercò con la mano l’interruttore, ma prima che lo potesse toccare la luce delle scale si accese e si sentì qualcuno scendere di corsa.
Biagio posò la valigia a terra e si mise a braccia aperte in fondo all’ultima rampa ad aspettare la sorella.
Ida sbucò quasi subito dall’angolo delle scale e con un salto fu tra le braccia del fratello.
Lo stringeva forte, senza dire niente, e stringeva forte gli occhi e le labbra per non piangere.
Lui l’accarezzava piano sui capelli neri.
Rimasero per qualche istante in silenzio, commossi.
“Oh, piccola – disse – molla la presa o mi soffochi. Fa vedere se sei sempre bella come prima o se sei diventata brutta.”
La bimba allentò lentamente la presa, alzò la testa dalla spalla del fratello e lo guardò, per la prima volta, negli occhi, ma tenendosi sempre molto vicina.
“Se tieni il tuo naso piantato contro il mio – disse lui – vedo solo un grosso paio di occhiali con sotto due occhioni grandi, comunque mi immagino che tu sia bellissima.”
Ida allontanò il viso da quello di Biagio, ma la luce si spense e tutto piombò nel buio.
Il timer della luce delle scale aveva finito il suo tempo.
“Tempo scaduto.”
Disse il giovane.
Ida appoggiò la testa sulla spalla del fratello senza dire nulla.
Lui capì che il ghiaccio non era ancora rotto e provò commozione, tenerezza e rabbia verso sé stesso.
“Oh, perché non dici niente? Non essere preoccupata: io ti voglio tanto bene.”
La bimba sospirò.
“Anch’io ti voglio bene, ma se te ne rivai io non ti parlo mai più”.
Biagio venne scosso da un brivido, poi riprese ad accarezzare la sorellina e, tenendola ancora in braccio, cominciò a salire le scale.
Senti la bimba che, nel buoi piangeva, e sentì il calore delle sue lacrime bagnargli la guancia.
Comprese cosa fosse l’amore, forse per la prima volta in vita sua e decise che Ida non avrebbe più pianto, mai più pianto di dolore per causa sua.
Prese a salire le scale con la bambina in braccio, stretta forte a lui.
“Andiamo su al buio?”
Domandò lei.
“Sì, conosco la strada. Ti fidi?”
“Si”
Disse lei stringendolo ancora più forte.
In casa non c’era nessun altro. Biagio girò per tutte le stanze, immerso nei ricordi, con Ida che lo seguiva passo passo, in silenzio, studiandolo attentamente.
Alla fine lui si mise a sedere sul suo letto.
“Gli altri dove sono?”
Domandò.
Ida si sedette accanto a lui con le palme delle mani appoggiate sulle ginocchia.
“Cesare è fuori con degli amici. Il babbo e la mamma sono andati a casa dello zio Carlo: sai, ci sono i preparativi della cena di Natale. Io non avevo voglia di andare con loro, così sono rimasta a casa a leggere e a guardare la tele.”
“È in programma una grande cena di gruppo?”
Chiese Biagio preoccupato.
“Si, se ho capito bene.”
“Chissà che discorsi toccherà sentire … comunque, farò conto di fare la penitenza. C’è qualcosa da mangiare?”
“Andiamo a vedere.”
Si trasferirono in cucina: Biagio si preparò un panino, mentre Ida gli apriva una bottiglia di birra. Parlarono ancora a lungo di come avevano trascorso i mesi passati, di quello che Biagio aveva visto e fatto, delle nuove esperienze di Ida, dei suoi studi e delle sue amicizie.
Parlavano come se fossero coetanei: come se lei avesse venticinque anni o come se lui ne avesse dieci.
Seduti al tavolo di cucina, uno di fronte all’altra cercavano, tutto in una volta, di recuperare il tempo trascorso senza dimenticarsi niente-
Intanto lei sgranocchiava caramelle e lui fumava.
Fine parte prima – continua –