Questo era il tempo dei conti con me stesso, conti che si possono fare soltanto con assoluta e totale sincerità rispetto alla realtà dei fatti e delle azioni compiute.
- No, no dottor Severgnini. – dissi con fermezza – Forse le sembrerà strano ma sono totalmente consapevole e cosciente delle mie decisioni e di ciò che faccio e dico. Per il momento non ho bisogno di essere assistito da un avvocato, voglio continuare la mia deposizione fino a giungere a raccontare esattamente cosa è capitato questa notte.
- Va bene. – disse Severgnini facendo un cenno di assenso ai due colleghi che stavano oltre il vetro – Le domando allora se quelle macchie scure che ha sul polsino, sul petto e sul colletto della sua camicia bianca sono macchie di sangue.
Guardai il polsino destro e per la prima volta mi resi conto delle macchie.
- Credo proprio di si. – risposi – Mi scusi non le avevo viste. Mi sono lavato le mani e il viso, prima di venire qui questa mattina, ma non ho avuto modo di cambiarmi.
- Professore – proseguì Severgnini con tono calmo ma allarmato – se ci sono persone ferite ci dica dove sono, così possiamo mandare dei medici ad aiutarle.
Ricordo perfettamente la percezione della smorfia che sicuramente alterò per qualche istante l’aspetto del mio viso. Sentii dentro me crescere nuovamente un moto di rabbia gelida che compressi immediatamente.
- Ispettore – risposi, infine – le garantisco che non c’è nessun ferito da soccorere. Altrimenti l’avrei avvisato fin dall’inizio.
- Lei, professore, è ferito? E’ stato colpito?
- No, nessuna ferita, neanche un graffio.
- Professore – insisté Severgnini – se ci sono persone che vanno aiutate ci dica subito dove sono o se c’è stato qualcuno che ha cercato di aggredirla e di farle del male ci dica subito dove è successo. I colleghi – disse indicando i due poliziotti di là dal vetro – possono partire immediatamente alla sua ricerca.
- Non cè nessuna fretta Ispettore – risposi – mi lasci continuare. Raccontare ciò che mi è successo in questi anni è utile a me per capire. Non ho alcun interesse specifico a raccontare a lei i fatti miei. Tutto questo serve a me… per cercare di comprendere cosa mi sia successo e per quali motivi la mia vita abbia cambiato improvvisamente strada.
- Prosegua allora.
Sbuffò il poliziotto.
Continuai allora a rievocare le mie vicende.
- L’anno successivo alla separazione da Claudia presi un anno sabbatico dall’insegnamento e a giugno mi trasferii temporaneamente a Berlino per cercare di riprendere i rapporti con mia figlia. Ovviamente fu una cattiva pensata perché lei, quando la informai, andò su tutte le furie e dopo poche settimane lasciò Berlino per Stoccolma, dove abita tutt’ora e dove ha messo su una bella famiglia. Io mi fermai a Berlino e tornai in Italia soltanto nella primavera del duemilaundici: due anni fa.
- Siamo prossimi alla meta.
Commentò Severgnini con tono, questa volta, volutamente e palesemente infastidito.
- Si, siamo prossimi alla fine del mio racconto. – confermai – Poche settimane dopo il mio rientro avevo ripreso a frequentare una palestra dove mi recavo due o tre pomeriggi a settimana all’ora di pranzo, tra le tredici e trenta e le quindici e trenta. E’ lì che ho conosciuto Marta, una giovane donna abbastanza appariscente nei modi e nel fisico, che allora aveva trent’anni, cioè cinque anni più di mia figlia e ventiquattro anni meno di me…
Ricordo la faccia sorpresa e irridente di Severgnini che si girò a guardare i suoi colleghi oltre il vetro lasciandosi scappare un cenno con occhi spalancati e sopracciglia rialzate.
- Non c’è molto da sorridere – gli dissi con tono duro e offeso – le sto raccontando una tragedia e non una storiella di gossip.
Il poliziotto rispose senza scomporsi.
- Professore, non può negare che lei non ci stia raccontando una storia piena di sorprese, una stori che ha deciso di volontà di raccontarci. Siamo noi a dover subire il racconto della sua vita. Continui, dunque.
Tra me e Severgnini si stava creando un distacco emotivo. Avevo la sensazione che lui non riuscisse a cogliere la drammaticità di quello che dicevo. Il suo atteggiamnto cominciava ad infastidirmi.
- Non definirei sorprese questi eventi della mia vita di cui la sto mettendo al corrente. Cercherò comunque di non perdere il filo e di raccontare in sintesi, ma con precisione ciò che mi è accaduto in questi ultimi tempi. Come dicevo avevo conosciuto Marta in palestra e, in breve tempo, questa ragazza, di buona famiglia, viziata il giusto, con tanti soldi a disposizione, con un lavoro da avvocato nell’importante studio del padre, era diventata la mia amante. Preciso che il padre di Marta, che io conosco assai bene, è anch’esso avvocato e ha la stessa mia età. Dico amante perché, nonostanche né io né lei avessimo in quel momento altre relazioni stabili e ufficiali, questa giovane e splendida donna preferiva mantenere intorno a se un alone di mistero. Diciamo che per la maggior parte delle persone risultavamo conoscenti, amici al massimo e solo pochi intimi erano a conoscenza dei nostri reali rapporti…
- Conosce i motivi di questa riservatezza della signora Marta?
- Francamente, ispettore, non mi sono mai posto il problema e, per dirla tutta, neanche a me dispiaceva questo gioco di infingimenti che, da un lato mi risultava eccitante e dall’altro soddisfaceva alla mia natura riservata.
Volli precisare, per essere certo che il mio interlocutore avesse realmente capito bene.
- Per tutta la mia vita, ispettore, ho sempre detestato chi si occupava e sparlava della vita privata degli altri ed ho sempre cercato di tenere riservate le mie cose personali. Quindi questa modalità di rapporto stuzzicava le mie voluttà ed era conforme alla mia natura schiva.
- Forse era lei, allora, che aveva indotto Marta a scegliere di tenere riservata la vostra relazione.
- Può darsi che lei abbia ragione, ma devo anche dirle che dopo poche settimane dai nostri primi incontri amorosi il mio stato d’animo verso Marta era diventato di quasi totale sudditanza. Lei era la mia comandante, la proprietaria della mia mente e dei miei sensi ed io ero completamente perduto di lei, al limite del ridicolo. Totalmente intossicato, dominato e dipendente. Lei mi chamava paparino e io le scodinzolavo dietro. Io: il grande professore con tre lauree e tante pubblicazioni scientifiche e dottrinali alle spalle!
- Beh, in compenso si sarà divertito in compagnia di una così giovane bellezza…
Si lasciò scappare Severgnini, strappando una risata ai suoi colleghi.
- Ispettore io ero innamorato, follemente… e… e non capivo più niente…
- E quanto è durata questa storia?
- E’ durata un anno circa… cioè l’ho trascinata io per un anno e mezzo. Per lei credo sia durata molto meno. Nei primi mesi dell’anno scorso lei ha cominciato ad essere sempre meno disponibile con me, a non farsi trovare per lunghi periodi… poi per qualche tempo si riavvicinava… era diventata, per me, una specie di tortura: sempre a pensare a lei, sempre a cercare lei. Ma lei si mostrava sempre più infastidita di me, indispettita dei miei comportamenti, in disaccordo con le cose che dicevo…
- Aveva altre relazioni? Marta intendo.
Mi domandò a bruciapelo Severgnini.
- Non l’ho mai saputo. Forse si, forse anche no. So soltanto che, a novembre dello scorso anno, Marta, così come aveva fatto Claudia, si decise a dirmi in faccia che era finita. Mi sei servito per punire quella merda di mio padre. Mi disse, con tono di disprezzo. L’ho fatto soffrire e piangere abbastanza da quando gli ho fatto sapere che scopavo con te. Credevo di morire ascoltando quelle parole. Sentivo che mi si squarciavano la testa e il cuore. Pensavo a lei e a mia figlia e mi domandavo come avessi potuto alimentare ed attirarmi contro tanta rabbia e tanta cattiveria. Ispettore, le confesso che avrei voluto ucciderla subito, in quel momento, ma non ne ebbi la forza. Lei se ne andò con una risata e con un irridente e velenoso ciao paparino, a mai più!
L’ispettore fece per commentare e poi si bloccò, lessi nel suo sguardo una sensazione di disagio.
Fine Parte Sesta – Continua
In copertina: Amedeo Modigliani, Grande nudo disteso – 1917 – olio su tela, 53 x 116 cm. MoMA New York