- Una bella sorpresa?
Domandò Severgnini con un’espressione mista di rabbia e stupore.
- Si, una bella sorpresa. – continuai io senza scompormi – Ero carico, eccitato, pronto ad affrontare qualsiasi cosa.
- Non aveva paura?
- Paura? No, nella maniera più assoluta. Ero al massimo dell’eccitazione. In realtà questa notte mi sono aiutato più volte tirando cocaina. Ho iniziato non appena arrivato sulla veranda di Marta e quando è arrivata l’auto ero al massimo delle mie potenzialità.
- Professore, è un consumatore abituale di droghe?
- Cocaina, soltanto cocaina. Ho cominciato ad assumerla come gioco erotico, me l’aveva proposta la mia collega di cui le ho parlato. Saranno, dunque, circa dieci anni fa. Poi ho continuato a farne uso saltuario anche perché la vita che facevo non mi portava quasi mai ad incontrare occasioni o contesti tali da stimolarne l’uso. Nel periodo che stavo con Claudia, poi, avevo duvuto cercare di smettere completamente perché lei, e pure mia figlia, erano totalmente contrarie e, un paio di volte che questo argomento venne trattato tra noi entrambe mi scatenarono contro una guerra che durò settimane. Devo ammettere invece che da quando ho avviato la relazione con Marta l’uso della cocaina è diventato per me spesso indispensabile. Sa, alla fine, è uno strumento per stare al passo con le dinamiche sociali: stare bene, essere al top, avere energia, essere disinibiti…
Adesso so e mi rendo conto della situazione scabrosa nella quale mi trovavo allora. Non posso dire di essermi pentito, non del tutto almeno, ma so che in quel periodo stavo vivendo un’esistenza della quale io non avevo nessun controllo. Tutte le vicende degli anni precedenti e le situazioni che occasionalmente mi ero trovato a dover affrontare avevano, oggettivamente, fatto ammalare una parte importante e decisiva di me: il cervello. Così come agli atleti si usurano i muscoli, i tendini, le articolazione, allo stesso modo a me si era danneggiato il cervello. La parte razionale della mia mente era entrata in letargo ed il mio io pensante era in balia delle pulsioni e del bisogno di soddisfarsi di sensazioni ed emozioni sempre più forti.
E’ così che, giunti a questo punto della mia ricostruzione dei fatti, Severgnini, manifestò con durezza il suo sconcerto nei mei confronti.
- Mi spiega com’è possibile che una persona della sua sua cultura e della sua classe, un uomo con tre lauree e con un doloroso vissuto alle spalle si sia potuto ritrovare in una situzione così assurda e grottesca?
Rimasi a lungo in silenzio, poichè non avevo risposte sensate da offrire, visto che come ho già detto io allora, in quel preciso periodo della mia vita vivevo come in una realtà parallela, in un mondo psicologico diverso e non paragonabile a quello mio precedente e neanche a quello successivo, nel quale, pur con tutti i travagli del corpo e dell’anima a cui sono stato costretto ho avuto modo di ritrovare quella razionalità, capacità di analisi e senso critico che per un tratto della ma esistenza avevo paurosamente perduto.
Fu così che, dopo un poco, risposi in un modo cha a me stesso appare adesso incomprensibile.
- Ispettore, mi sono messo semplicemente a difesa della mia dignità di essere umano. Tradito nella fiducia da una persona cinica e spregiudicata. Una donna che fino alla fine ha continuato ad irridermi e mortificarmi.
Severgnini appariva ora desolato e infuriato al tempo stesso.
- Per l’amor di dio – esclamò – vada avanti! Finiamo questa spiacevole dichiarazione.
- Va bene! – dissi – Vado avanti. Lo sportello dal lato del passeggero si è aperto lentamente, mentre quello del guidatore rimaneva ancora chiuso. Con mia grande sorpresa, dal lato del passeggero non è scesa Marta ma un uomo barcollante. Ero l’uomo che avevo incontrato con lei a passeggio in centro pochi giorni prima. Teneva una mano attaccatta allo sportello aperto per sorreggersi. Aveva, evidentemente, bevuto molto. Da dentro l’auto Marta ha emesso una squillante risata Tommaso – ha detto – Sto cercando le chiavi di casa nella borsa… e ancora rideva. Allora io sono uscito allo scoperto, senza pronunciare parola mi sono avvicinato all’uomo che mi ha guardato con aria stupita e stupida. Poi, quando mi ha messo a fuoco, ha cominciato a ridere a ganasce spalancate e ha preso a ripetere all’infinito una cantilena che diceva paparino, paparino, c’è paparino… paparino, paparino c’è paparino e rideva e rideva… e da dentro l’auto Marta che ancora stava cercando dentro la sua borsa domandava, senza alzare la testa dalla sua borsa, cosa dici? Non fare lo stupido. Cosa dici?
- E lei cosa ha fatto?
Ora non volevo più interruzioni.
- Stia zitto adesso dottore – ho ruggito – mi lasci dire. Avevo dentro me una rabbia feroce. Sono stati pochi istanti, forse cinque, dieci secondi, ma dentro me avevano un volume temporale incommensurabile. Quella cantilena mi ha scatenato un odio incontenibile, ero indemoniato. La cocaina mi dava lucidità e grande sensibilità a tutti i sensi. Mi sentivo forte, mi sentivo potente, mi sentivo il più potente… Un raggio del faro destro dell’auto illuminava un rastrello da terra, di quelli con i denti radi di acciaio. L’avevo a portata di mano.
I poliziotti ora erano muti e pallidi. Mi sono interrotto un attimo. Ho preso respiro.
- Come le dicevo, ispettore, io pur cominciando ad avere una certa età, e pur essendo un professore di matematica e fisica, non ho mai smesso di allenarmi. Ho sempre fatto attività fisica fin da quando ero un ragazzino. Lo so che ai suoi occhi sono magro e senza una muscolatura appariscente, ma le garantisco che sono molto forte… Mi dia la mano.
Lo invitai.
- Devo darle la mano?
- Si, mi stringa la mano, come per salutarci.
L’ispettore tese il braccio e ci stringemmo la mano.
- Ora stringa più forte che può.
Dissi.
- Vuole prendermi in giro?
- No, dottore, stringa più forte che può e anche io adesso comincio a stringere.
Il poliziotto si fece rosso faccia, si mise a stringere con tutte le sue forze. Poi gridò.
- Cazzo si fermi professore! Mi sta spaccando le ossa!
Lasciai la presa mentre Severgnini ritirava velocemente la sua mano e cominciava a massaggiarla con la sinistra guardandomi con disprezzo e con rancore.
- Mi scusi dottore, era soltanto per darle una dimostrazione della mia reale forza.
Dissi con gelido cinismo.
- Come stavo dicendo – ripresi a dire – mentre l’orrenda cantilena faceva esplodere la mia rabbia violenta, ho afferrato a due mani il manico del rastrello. Avevo una lucidità spaventosa, una prontezza fuori dal comune, una controllo di ogni parte del mio corpo unico e universale. Mi sentivo come un animale soprannaturale. Il povero Tommaso era ancora appoggiato allo sportello dell’auto che canticchiava. Non credo che si sia accorto di nulla. Io ho compiuto con tutta la forza e la velocità delle mie gambe, della schiena, delle spalle e delle braccia un mezzo giro antiorario, sa dottore, con quel gesto che fanno i lanciatori di martello, e ho spinto al massimo finchè i denti del rastrello non si sono schiantati contro il lato sinistro del cranio dell’ignobile uomo che si prendeva gioco di me. Mentre un cupo colpo secco certificava la devastazione delle ossa del volto di Tommaso ho visto emergere dal lato opposto dell’auto la faccia di Marta che dapprima sorridente si è trasformata, immediatamente dopo, in una orrenda maschera del terrore e dell’orrore. La bocca di Tommaso ha esalato un prolungato e atroce soffio rauco di aria e sangue. A quel poveretto era schizzato via occhio e il suo sangue aveva insozzato ovunque. Un attimo dopo il corpo di Tommaso è crollato a terra a faccia avanti, rigido e con le braccia abbandonate e non si è più mosso. Marta ha emesso un lamentoso e infinito grido, un ululato, un dolente barrito e subito dopo è sparita alla mia vista, crollata a terra, svenuta.
Fine Parte Nona – Continua
In copertina: Edvard Munch, L’urlo (1893 – 1910) , Galleria Nazionale Oslo