Sono passati quarantadue anni dal rapimento, la prigionia, l’omicidio e il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro: l’uomo politico più colto, raffinato e innovatore della storia repubblicana italiana.
Il tutto si svolse nel breve volgere di cinquantacinque drammatici, terribili giorni dal 16 marzo al 9 maggio 1978; dal giorno del voto di fiducia alla Camera dei Deputati del IV Governo Andreotti al giorno, appunto, dell’esecuzione di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse.
Quella fu per noi, studenti e teenagers della seconda metà degli anni Settanta del Novecento, la primavera del nostro lockdown, non tanto perché costretti a restare chiusi in casa per proteggerci da un virus invisibile e letale, quanto perché costretti a vivere in un lungo e indefinito tempo sospeso dove tutte le certezze, i sogni, le aspettative, assieme a tutti gli aspetti più o meno grandi, uscirono della mente e dalla prospettiva di ognuno di noi per lasciare spazio ad un unica vicenda psicologica collettiva nazionale determinata dall’attesa ansiosa per il destino di un uomo politico così distante dal mondo dei giovani di allora, ma al tempo stesso così rispettato e così universalmente ritenuto indispensabile per il futuro di tutta la Nazione.
L’Italia non era più, da anni, un Paese tranquillo e ingenuamente proiettato verso un inarrestabile progresso piccolo borghese, ma dalla fine degli anni Sessanta (tutti avevamo stampato in testa le immagini della strage di Piazza Fontana e di tutte quelle che erano seguite) era un Paese colpito dalla crisi sociale e dall’estrema violenza della lotta politica.
L’Italia era allora un campo di battaglia, continuamente scosso e ferito: un campo di battaglia per le fazioni terroristiche più violente d’Europa, un campo di battaglia utilizzato dalle potenze mondiali che vi combattevano la Guerra Fredda con i loro servizi segreti più o meno deviati, un terreno opaco dove si coltivavano sistematicamente collusioni, patti, scambi di favori tra servizi, criminalità comune, mafia e criminalità politica.
La politica nazionale era debole e cercava disperatamente di trovare una via per compattare le energie migliori e portare il Paese oltre i campi di battaglia del conflitto sociale e degli scontri paramilitari e di piazza.
Non è un caso se, proprio in quella mattina del 16 marzo 1978, un’ora prima della presentazione del nuovo Governo Andreotti al Parlamento, un Governo che per la prima volta nella storia Repubblicana Italiana sarebbe nato con il voto favorevole del PCI e nel contesto politico dell’Unità Nazionale, l’auto che trasportava Aldo Moro dalla sua abitazione alla Camera dei Deputati, fu intercettata e bloccata in via Mario Fani a Roma da un nucleo armato delle Brigate Rosse che, sterminata la scorta del Presidente della DC, lo rapì.
Quella mattina venne interrotto per sempre con la violenza il progetto politico di Aldo Moro e di Enrico Berlinguer di portare al livello del normale e democratico confronto politico la storia italiana e di rompere i muri ideologici imposti dal Patto di Jalta e dalla Guerra Fredda.
In un Paese che viveva da quasi dieci anni in un clima di continua instabilità politica e di violenza, quei cinquantacinque giorni rappresentarono comunque un clamoroso punto di rottura perché troppo grave era ciò che era successo, perché nessuno prima si era immaginato che si potesse giungere a tanto, perché i fatti di quei giorni superarono ogni immaginazione: lo Stato costretto a trattare con una banda terroristica; i servizi investigativi dello Stato che brancolavano le buio; le forze politiche che discutevano se era giusto o meno trattare; Papa Montini, Paolo IV, che apre una trattativa per la salvezza di Moro e che, pochi giorni prima del tragico epilogo, scrive direttamente e pubblicamente alle Brigate Rosse.
Durante tutto quel periodo i comunicati delle Brigate Rosse, le telefonate alla famiglia Moro, le Lettere inviate da Moro alla sua famiglia, a Cossiga, Zaccagnini, Andreotti, a Fanfani, alla Democrazia Cristiana, a Ingrao, al Presidente della Repubblica Giovanni Leone, e a tanti altri esponenti politici dell’epoca, scandivano i giorni e lo scorrere immobile di quel tempo sospeso.
Un tempo sospeso proprio come adesso ci capita di viverlo, scandito dalle conferenze stampa della Protezione Civile nazionale, del Presidente del Consiglio Conte o del Presidente della Repubblica Mattarella.
E allora, come adesso, fu una primavera meravigliosa, dal punto di vista climatico.
E allora come adesso, ci si interrogava su come tutto sarebbe cambiato e quanto differenti noi saremmo stati dopo.
Sono, effettivamente, istanti della storia nazionale e della storia personale di ognuno che restano fissati per sempre, che segnano nella coscienza collettiva del Paese un ante ed un post, e che modificano in modo irreversibile tutto senza, apparentemente, cambiare niente.
Nel 1978 la storia d’Italia cambiò, probabilmente in peggio, e nulla fu più come era stato prima; poi finimmo per dimenticare ciò che eravamo e non ci domandammo più, se non occasionalmente, quello che sarebbe potuto essere senza quel clamoroso colpo di stato sordo del quale conosciamo appena la mano degli esecutori mentre degli autori veri, di quelli che vinsero la partita, nessuno di noi, cittadini comuni, sa niente.
IL DOCUMENTO
Lettera del Santo Padre Paolo VI alle Brigate Rosse
Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l’onorevole Aldo Moro. Io non vi conosco, e non ho modo d’avere alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente, profittando del margine di tempo, che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciata contro di lui, Uomo buono ed onesto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza civile. Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi, e a titolo del tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo.
Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità, e per causa, che io voglio sperare avere forza nella vostra coscienza, d’un vero progresso sociale, che non deve essere macchiato di sangue innocente, né tormentato da superfluo dolore. Già troppe vittime dobbiamo piangere e deprecare per la morte di persone impegnate nel compimento d’un proprio dovere. Tutti noi dobbiamo avere timore dell’odio che degenera in vendetta, o si piega a sentimenti di avvilita disperazione. E tutti dobbiamo temere Iddio vindice dei morti senza causa e senza colpa. Uomini delle Brigate Rosse, lasciate a me, interprete di tanti vostri concittadini, la speranza che ancora nei vostri animi alberghi un vittorioso sentimento di umanità. Io ne aspetto pregando, e pur sempre amandovi, la prova.
Dal Vaticano, 21 aprile 1978
PAULUS PP. VI