XI
Si lasciarono sulla porta della sala riunioni con un bacio, fugace, sulle labbra:
“Non fare tardi – si raccomandò lui – e quando torni fai attenzione. Non fare tutta la strada a piedi da sola.”
“Va bene, starò attenta ai maniaci. – scherzò lei – Ma neanche tu devi far tardi e, soprattutto, cerca di salvare le penne al tuo re.”
“Ciao bella.”
“Ciao bello.”
Anna si voltò e infilò nella sala, gremita e vociante, già tutta presa dal tema della discussione.
Sandro mise le mani nella tasche dei pantaloni e, con le spalle curve e il collo incassato, penetrò nel freddo buio della sera di marzo.
In cinque minuti giunse in un vicolo stretto.
Sopra un vecchio portone, un’insegna luminosa bianca con scritta rossa a semicerchio annunciava che si era giunti al Circolo Arci: al piano terra il bar e una piccola sala giochi, al primo piano gli uffici del sindacato di categoria, quelli del sindacato pensionati e del patronato, all’ultimo piano una sala polivalente per le assemblee e le iniziative sociali.
Era lì che gli appassionati si ritrovavano, due o tre sere a settimana, per giocare a scacchi.
Sandro, dalla strada, alzò gli occhi: la luce accesa già illuminava la porta a vetri che dava su un balconcino ornato da un’antica balaustra di marmo; varcò il portone aperto e, senza passare dal bar, schivando il rumore di chiacchiere e televisione, prese a salire, a memoria, le scale buie, a due a due, appoggiandosi appena al passamano di legno della ringhiera di ferro battuto.
Nelle scale c’era un odore, consueto, di chiuso e di umidità trasudata dalle vecchie pareti.
La luce fredda dei neon della grande sala polivalente lo investirono sull’ultimo pianerottolo; dentro, seduti ai tavoli, concentrati sulle scacchiere c’erano quattro giocatori che, vedendolo entrare, alzarono appena gli occhi, mugugnando un saluto.
Un quinto, in attesa di uno sfidante, lo accolse calorosamente:
“Guarda, guarda – disse – chi non muore si rivede! Sei sempre a piede libero, allora. Avevi nostalgia degli amici?”
“In verità io, per stasera, avrei avuto altri programmi, ma per volontà superiori mi sono trovato a spasso e, allora… allora sono passato di qua.”
“E la mogliettina ti manda fuori da solo, di sera?”
“Ho dovuto lottare, per avere il permesso.”
“La vita è tutta una lotta: o lasci che ti facciano prigioniero o combatti per la tua libertà.”
“Già, e comunque, libero o prigioniero che tu sia, si tratta solo di una fugace sensazione: non c’è niente di stabile, non c’è niente che resti…”
“A proposito di fugace: hai visto che salto ha fatto quello stamani?”
Sandro ebbe un attimo di fastidio e di smarrimento:
“L’ho proprio visto – disse, infine – c’ero… ero lì… ho visto l’ombra venire giù!”
“Cavolo! Dev’essere stato tremendo…”
Sandro tornò a pensieri che lo avevano accompagnato per tutta la giornata:
“Si, tremendo. Chissà, poi, perché l’ha fatto… chissà cosa prende al cervello quando si fa una scelta così…”
L’amico era un poco più alto di lui: magro e allampanato, le spalle secche, piegavano in avanti rendendo curva, arrotondata la schiena:
“Mio padre lo conosceva bene, da anni. Dice che non era il tipo che si ammazza. Dice che l’hanno ammazzato…un bel tuffo e via!”
Sandro rimase perplesso, in silenzio, assorto e ripensò ad un vecchio film in cui un uomo veniva costretto al suicidio: messo di fronte ad un’alternativa ancor più tremenda della propria morte.
“Allora? – chiese il giovane magro – Ti sei addormentato? Sei venuto solo per chiacchierare o vuoi fare una partita?”
“No, no scusami: sono venuto per giocare. Solo che è così tanto tempo che non gioco e, subito, mi tocca affrontare lo scacchista più forte e cattivo. Speravo in un inizio più leggero. Com’è che stasera non giochi ancora, nessuno ha più voglia di sfidarti?”
“Non c’è dubbio che a questi livelli io sia il più forte di tutti, ma non sono cattivo: sono determinato e gioco per vincere. Stasera non ho ancora uno sfidante soltanto perché sono arrivato più tardi di loro. Tutti qui vogliono misurarsi con me, per imparare.”
“Guarda che sfortuna. Tocchi proprio a me…”
“Allora, cominciamo? Ti ricordi ancora come si muovono i pezzi?”
“Un’ora di tempo ciascuno?” propose Sandro tagliando corto.
“Va bene – disse l’altro mostrando i due pugni in cui teneva stretti un pedone bianco ed uno nero – Scegli.”
Sandro picchiò l’indice sopra il dorso della mano sinistra dell’altro che la voltò, aprendola:
“T’è toccato il nero.” Disse.
Si misero a sedere, uno di fronte all’altro, con i due eserciti schierati in mezzo, decisi ad ottenere la distruzione, il massacro dell’avversario.
Sandro premette il pulsante dell’orologio che dava il via al tempo e aspettò la prima mossa dell’avversario.
- d4, Cf6;
- c4, g6;
- Cc3, d5;
- Cxd5, …
“Partita Indiana di Grunfeld. – pensò Sandro – Se solo mi ricordassi come si va avanti ora!”
L’altro che segnava, scrupolosamente, tutte le mosse con una biro su un foglietto, come se si trattasse di un Campionato del Mondo, posò la penna, appoggiò la schiena alla spalliera di plastica della sedia e prese a fissare Sandro come se avesse voluto entrargli nel cervello.
Quando, dopo un paio di minuti di riflessione, Sandro mangiò il pedone in d5 con il cavallo, il suo avversario ebbe un accenno di sorriso come per dire Ci voleva tanto? e, senza perdere tempo, avanzò il pedone in e4, schiacciò il pulsante del tempo, annotò le due mosse sul foglietto e si ributtò all’indietro sulla sedia passandosi una mano sui radi, capelli lesini.
Alle pareti, mal pitturate, erano appesi manifesti che ricordavano passate iniziative sindacali e politiche: lotte, scioperi per il rinnovo dei contratti, manifestazioni contro le morti sul lavoro. Le vittorie venivano esaltate con grandi caratteri ed immancabili punti esclamativi. Sandro, alzando gli occhi, aveva incontrato la fotografia ingiallita del volto autorevole di Di Vittorio, mentre poco più in là lo sguardo sicuro e compiaciuto di Luciano Lama pareva quello di un affermato attore di teatro.
A memoria ricordò di avere alle spalle le foto di un imponente corteo del Primo Maggio mentre sfilava per le vie del paese e, ancora, la vecchia, gloriosa, sfrangiata bandiera di una brigata partigiana…
Il tempo scorreva, implacabile, sulla scacchiera. Sandro tornò, rapidamente, a concentrarsi sul gioco:
“Io mangio. – pensò – Si, si mangio ancora e voglio vedere se si leva quel sorrisetto cretino dal muso.”
- …, Cxc3;
Senza battere ciglio il biondino rispose.
- bxc3, …
“Non perde un colpo. – pensò Sandro – Già, ma lui non è sposato, tutte le sere studia e gioca a scacchi, è un fissato, uno che non ha altre soddisfazioni…”
Girò lo sguardo al tavolo vicino: si stava giocando il finale di partita e la tensione era altissima, i volti concentrati, la mimica facciale accentuata e sincopata; dietro i due rivali, sulla parete alla sua destra, Sandro rivide, accanto alla finestra, tutte le locandine del torneo cittadino di scacchi: anni e anni di partite, c’era anche quella che annunciava la storica simultanea con un Grande Maestro sovietico: quell’iniziativa avva ottenuto un grande successo, con giocatori giunti da tutta la regione!
Lo sguardo di Sandro ritornò alla scacchiera:
“E’ ora di cominciare a dargli noia.”
- …, c5;
- Ac4, …
Senza un attimo di tregua!
“Lui questa apertura la conosce a memoria. Comunque vuol dire che, per ora, non ho sbagliato e sono ancora in partita.”
- …, Ag7;
Il biondino, Fischer, come tutti lo chiamavano per la sua maniera di atteggiarsi a grande campione isterico e intrattabile e per il suo sentirsi superiore a tutto e tutti, cominciò a pensare seriamente alla svolta da dare alla partita. Respirava lungo e profondo, come per ossigenarsi meglio il cervello, muoveva lentamente le spalle e il collo, si passava la mano destra sulla fronte stempiata e sui cappelli unti. Tutto ad un tratto si bloccò, restò immobile per quasi un minuto, poi si alzò, andò all’attaccapanni, frugò nella giacca, tirò fuori il pacchetto delle sigarette, se ne accese una e tornò a sedere. Restò, di nuovo, immobile, con la sigaretta penzoloni dal lato destro della bocca e l’occhio semichiuso a ripararsi dal fumo, finalmente tirò una boccata interminabile e, con movenze rallentate, fece la sua mossa:
- Ce2, …
Sandro rispose, dopo una breve riflessione, arroccando.
Arroccò anche Fischer.
Le altre due partite, intanto, erano terminate e tutti i giocatori, leggermente curvati alle spalle dei due contendenti, le mani strette l’una nell’altra dietro la schiena, osservavano e studiavano la sfida tra Sandro e il campione indiscusso del Circolo.
“Nessuno scommetterebbe su di me. – si disse Sandro – Devo cercare di dare il meglio! Devo impedirgli di costruire il suo gioco. Ma, si. Spacchiamo il centro!”
- …, cxd4;
- cxd4, Cc6;
- Ae3, Ag4;
Gli spettatori cominciarono a scambiarsi ipotesi e commenti, a bassa voce, sussurrandosi brevi, concise frasi nelle orecchie.
Fischer spense la sigaretta e cominciò a mordicchiarsi un’unghia.
“E’ nervoso – constatò Sandro – sto giocando bene e non se lo aspettava.”
- f3, …
Sandro si alzò dalla sedia e si diresse verso la finestra, guardò fuori: si era alzato un po’ di vento che scuoteva le fronde dei platani.
Lasciò scorrere un po’ di tempo mentre il biondino aspettava indispettito; tornò al suo posto nel momento che l’altro si stava alzando per andare a prendere un’altra sigaretta.
Fischer aveva l’abitudine di lasciare il pacchetto delle sigarette nella tasca della giacca, appesa sempre al solito pomello dell’attaccapanni: era un modo, diceva, per tenere sotto controllo il numero delle sigarette che fumava.
Ripeté, esattamente, le stesse mosse che aveva fatto qualche minuto prima e tornò a sedere aspirando profondamente il fumo del tabacco.
Gli spettatori, ora, osservavano un rigoroso silenzio.
Trascorsero cinque minuti abbondanti: le possibilità erano numerose e in queste mosse, che introducevano al centro partita, si sarebbe deciso a chi sarebbe spettato il dominio del campo di battaglia e dell’iniziativa.
- …, Ca5;
Fischer fissò negli occhi il rivale, si ricordava di lui come di un giocatore istintivo, con buone intuizioni, ma quasi sempre avventato, tutto sommato, facile da battere: bastava lasciarlo venire avanti e si finiva da solo.
Ora, dopo mesi che non si faceva più vivo, si presentava e sembrava aver imparato a giocare.
Che si fosse preparato in segreto o che si trattasse solo di una combinazione casuale e fortunata, bisognava, comunque, che il biondino facesse molta attenzione perché, quella sera, rischiava di perdere la faccia.
Uno, due, cinque, sette minuti…
- Ad3, …
Il gruppo degli osservatori, che aveva ricostruito la partita sopra un’altra scacchiera sul tavolo vicino, bisbigliò all’unisono, per qualche secondo, e quel sottile coro sembrò a Sandro un commento favorevole, un’approvazione della mossa fatta dal suo avversario.
A lui non restava che mettere in salvo il suo alfiere anche se, come sempre, dover riportare indietro un pezzo era una mossa che lo infastidiva notevolmente.
- …, Ae6;
Fischer ghignò, avanzò il pedone in d5, tirò un’altra, grande boccata di fumo e la rigettò, con forza, dal lato della bocca mandandola a sfiorare la scacchiera.
La partita stava salendo di tono e il bianco aveva in mano l’iniziativa.
Sandro piegò all’indietro la testa e girò lo sguardo, i suoi occhi andarono ad incrociare gli occhi di Vasco Zappelli, riprodotti in un grande ritratto affisso al muro. Zappelli, valente e amatissimo sindacalista del settore del marmo, era stato ucciso nel 1971 a Seravezza da alcuni banditi durante una rapina in banca.
Il sorriso mite ed austero del compianto sindacalista raccontava di una vita brutalmente spezzata e di una morte eroica e coraggiosa a cui Sandro si ritrovò, mentalmente, a chiedere aiuto.
Fine Capitolo XI – continua