X
Il pomeriggio si stava sfigurando nella sera.
Sandro rientrò a casa tutto allegro e pimpante, Anna lo sentì canticchiare mentre stava salendo le scale e gli aprì la porta, felice che avesse recuperato il buonumore.
Si baciarono.
“Tutto bene?” chiese lui.
“Tutto bene, anche se sono un po’ stanca. Ho appena finito l’ultima ripetizione: a quei ragazzi le equazioni non vogliono entrare in testa.”
“Oh, se è solo per quello, io non so neanche più cosa sono le equazioni.”
“Lo so, ma tu non sei certo un buon esempio come marito di una prof di matematica.”
“Vogliamo parlare di Leibnitz?”
“Vuoi piangere?” lo sfidò lei.
“Vuoi ridere?” rispose lui prendendola per i fianchi e tirandola a se.
“Quando non sai più cosa dire la metti sul sesso, vero?”
“E’ una materia che non mi ha ancora stancato.”
Disse Sandro, con voce calda, mentre con un piede chiudeva la porta d’ingresso.
“Fai il duro, eh? Vieni qua maschio.”
Gli sussurrò lei in un orecchio e intanto Sandro, con le mani aperte, le prendeva il sedere.
Si tenevano stretti, trasmettendosi calore, parlandosi sulle labbra, accarezzandosi lentamente.
Lui le aveva sfilato la camicia da dentro i pantaloni e le accarezzava la pelle tiepida e morbida della schiena e saliva, su, verso il reggiseno.
Al solito non riuscì, al primo colpo, a slacciarlo.
Quella semplicissima operazione lo impegnava sempre severamente.
Secondo le sue intenzioni il reggiseno avrebbe dovuto saltar via, al primo tocco, mentre la mano ci passava sopra, come un soffio.
Da anni cercava di perfezionarsi in questa delicata manovra, ma la strada era ancora lunga.
Anna, sorridendo, si staccò di due passi da lui, si aprì, lentamente la camicetta, bottone dopo bottone, si passò una mano dietro la schiena, guardando Sandro negli occhi, con aria di sfida e superiorità.
E tic! Il gancino si aprì.
I seni, liberati, ebbero un morbido sussulto, come un respiro più lungo, ma il reggiseno non cadde.
Anna si lasciò andare ad un sorriso morbido e soave.
Sandro cercò di stringerla a sé.
Suonò il telefono.
“Lascialo suonare.” Disse lui baciandola sul collo e rubandole il reggiseno.
“Potrebbe essere qualcuno che ha bisogno – disse lei prendendolo per mano e portandoselo dietro mentre andava a rispondere – Pronto?
“Si, sono io.”
la pelle nuda, sotto la gola, le vibrava,
“Ah, si, si certo che mi ricordo. Sicuro.”
lui si era inginocchiato davanti a lei,
“Si, un quarto alle nove, alla sala polivalente.”
Sandro le sbottonò i pantaloni,
“Si ho io tutta la documentazione.”
Sandro prese a salire, con la bocca, su dall’ombelico,
“Certo che la porto.”
la voce di Anna s’incrinò, ebbe un tremito,
“Io la relazione? Non credo di essere in grado…”
le labbra di Sandro , socchiuse, sfiorarono il seno di lei.
” Va bene, ne parliamo stasera. Ciao, ciao.”
“Stasera?” chiese Sandro alzando gli occhi verso il viso di Anna.
“Stasera.”
“Chi era?”
“Flavio, Flavio Marchi, il Presidente del Comitato per la difesa del nostro Ospedale: stasera c’è l’assemblea cittadina…”
“Stasera? Per dio, stasera no! Io volevo stare con te, solo con te stasera!”
Sandro si era rialzato in piedi.
“Mi dispiace, caro, – disse lei, con tono dolce, mentre si riabbottonava la camicia – ma stasera dobbiamo proprio andare all’assemblea. Mi dispiace veramente. Sai me n’ero già dimenticata anch’io.”
“Puoi non andare, inventi un imprevisto… un impegno improvviso… ti fai venire l’influenza…”
“Come faccio? Io sono tra quelli che hanno più insistito per mobilitare i cittadini!”
“Fallo per me, per noi. Sono un cittadino anch’io, no?”
“Uffa! Non fare il bambino, non posso non andare. E’ molto importante! Staremo insieme domani. Domani sera andiamo fuori a mangiare una pizza, ti va?”
“No! Non mi va di essere messo dopo Flavio Marchi, il famoso ragioniere!
Andremo domani sera a mangiare la pizza? No, no! non mi va proprio. – Sandro fece una pausa, ci ripensò – E poi, scusa, al telefono vi davate del tu?”
“Eh, ci diamo del tu, e allora? E’ una vita che lo conosco. Avremo fatto cento riunioni insieme… ma sei matto? Che fai il geloso?”
“Che geloso – si stizzì Sandro – che geloso! Ha cinquant’anni! Dicevo per dire… non ci avevo mai fatto caso.”
“Allora perché dai colpi alle sedie?”
“Io, i colpi alle sedie? – reagì lui mollando quella che aveva tra le mani – La mettevo a posto.”
“Si, a posto! – strillò lei – Mi spieghi cos’hai?”
“Io? Niente! Anzi sono contento che si salva l’ospedale! Tutti in marcia a salvare l’umanità! A che ora si parte?”
“Smetti di fare il cretino! E non prendermi in giro, io dedico il mio tempo libero a cose serie, cerco di essere utile agli altri, al mio prossimo, alla comunità.”
“Lascia perdere. – sospirò il giovane – Lascia perdere. Stavo così bene, abbracciato a te, un minuto fa, che non mi va proprio di litigare.”
“Sei tu che hai cominciato.”
“No! Non io! E’ il tuo ragioniere che ha cominciato! Io avevo cominciato un’altra cosa.”
“Succederà ancora, spero.”
“Abbiamo perduto un’opportunità – sibilò Sandro – e quella non tornerà mai più. Quei secondi sono trascorsi e non ci appartengono più.”
“Sei proprio una noia quando fai il filosofo. – protestò Anna, togliendosi di nuovo la camicia – Pensa piuttosto a lavorare: prepara la tavola che io vado a farmi un bagno.”
Sandro la guardò, mentre gli passava davanti.
Regale.
I seni candidi, rotondi, orgogliosi.
Osservò la linea elegante della spalle nude e dei fianchi che si insinuavano morbidi nei pantaloni.
Strinse con rabbia il reggiseno che aveva ancora tra le mani:
“Vai in culo ragionier Flavio Marchi – biascicò piano tra i denti – che tu possa crepare!”
“Che dici?” chiese la giovane donna dall’altra stanza.
“Oh, niente… ho detto… ho detto che preparo la tavola.”
“Sei bugiardo – lo provocò lei – bugiardo e vigliacco.”
La porta del bagno si chiuse.
Terminata la cena
“Il caffè lo prendiamo fuori?”
Chiese Anna.
“Va bene – rispose Sandro – ti accompagno, ma guarda che io non vengo all’assemblea.”
“Ah, non vieni? Avevo capito che venivi anche tu, credevo che ti interessasse la sorte del tuo ospedale.”
“Mi interessa, ma non ho voglia di venire all’assemblea. Io esco con te, ci prendiamo un caffè al bar, ti accompagno e poi faccio un salto al circolo a fare una partita a scacchi.”
“Secondo te io spreco il mio tempo all’assemblea e tu, invece, vai a giocare a scacchi e, in questo modo, pensi di utilizzare bene il tuo tempo e di essere utile a te stesso e agli altri.”
“Non ho detto questo. Non ricominciamo, ti prego. Ti ho già detto che non voglio litigare: ognuno resta delle proprie idee senza, per questo, dover obbligare l’altro a fare cose che non vuole. Va bene?”
“Va bene. Andiamo.”
Fine Capitolo X – continua