VIII
Lo studio di Giuseppe era molto diverso da tutto il resto della casa: non era arredato ad arte, con il gusto raffinato di Elettra, ma in modo molto semplice e pratico. Le tre scrivanie, i due tavoli, le numerose scaffalature, i ripiani, le sedie e le poltroncine erano state rimediate ed accozzate insieme secondo le necessità del momento, spesso riciclando e riutilizzando pezzi trovati qua e là senza badare allo stile o al gusto.
Omar gettò un rapido sguardo a quella stanza, i piani di lavoro erano ricolmi di pratiche, fogli, appunti, libri, riviste: un disordine assoluto, una confusione totale in cui, sicuramente, solo Giuseppe avrebbe saputo mettere mano.
Il Magistrato era un uomo già anziano, sembrava stanco e svogliato. Era piccolo, bianco, rugoso: stava seduto dietro alla scrivania di Giuseppe con le palme appoggiate sul piano di legno ed i gomiti larghi, come un bambino al primo giorno di scuola.
Il Maresciallo Olivieri era alla sua destra, in piedi.
Altri due carabinieri stavano curiosando tra le carte sparse, con scarso interesse.
Omar venne fatto accomodare di fronte al vecchio funzionario.
“Mi favorisce un documento, per favore?”
Omar tirò fuori il passaporto dalla tasca interna della giacca e lo passò al magistrato.
L’uomo lo sfogliò con calma.
“Viaggia molto.” Commentò rendendo il documento.
“Si, ho molti affari in giro per il mondo – rispose Omar accentuando volutamente la sua pronuncia spagnola – e, per fortuna, ho molte attività da gestire, molti capitali da far girare…”
“Posso invitarla a fornirmi informazioni, per quello che può, su questa triste vicenda? Vorremmo capire, al più presto, come sono andate le cose. Per togliere il disturbo quanto prima ed evitare ulteriori dolori ai familiari…”
“Certamente, sono a sua completa disposizione.”
“Come ha conosciuto il signor Piccinetti?”
“Qualche anno fa, in occasione di una cena a casa di comuni conoscenti.
Ci siamo subito, io credo, apprezzati e stimati l’un l’altro. Abbiamo scoperto di avere comuni interessi culturali ed una simile visione della vita e della società…”
“Ma, a quanto mi dicono, – lo interruppe il giudice – la sua amicizia, la sua comunità d’interessi è particolarmente stretta con la signora, piuttosto che con il povero signor Piccinetti. Non è così?”
“E’ esattamente così. – confermò, senza scomporsi, Omar – Il mio rapporto con la signora Elettra è divenuto, da subito, molto più profondo, come dire… intenso. La nostra è una straordinaria amicizia nata dal comune amore per l’arte, per l’antiquariato, per l’archeologia, per le cose belle in generale.
Con Giuseppe, invece, è… mi scusi, era diverso. Con lui c’era rispetto, come le ho detto, stima, ma non si può dire che la nostra fosse amicizia. Ci vedevamo raramente, ci frequentavamo poco. Sa, lui era un tipo molto riservato, cordiale, ma schivo nei rapporti umani. E, poi, anche lui come me, era sempre molto impegnato: saltava da un luogo all’altro, era difficilissimo che potessimo incontrarci ed avere tempo a disposizione per una conoscenza approfondita… non so se mi sono spiegato bene… se ha capito ciò che voglio dire.”
“Perfettamente. Comunque lei conferma che frequenta spesso questa casa e che è in rapporti di ottima amicizia con la signora.”
“Si”
“Allora si sarà fatto un’idea del perché sia accaduta questa disgrazia.”
“No.”
“E’ a conoscenza di qualcosa, riguardo agli affari del signor Piccinetti, che possa spiegare il suo gesto? Qualcosa in queste carte – disse sollevando, a caso, un pacco di fogli – che ci possa aiutare a capire qualcosa?”
“No. Come le ho detto Giuseppe era molto riservato. Quanto alle sue carte io credo di essere entrato in questa stanza, a parte oggi, soltanto due altre volte e sempre per pochissimi minuti. D’altra parte, in questa stanza, a parte lui non entrava quasi mai nessuno.”
“Che lei sappia, il signor Piccinetti aveva qualche particolare motivo per voler morire?”
“Non che io sappia.”
“Magari, che so… un attimo di disperazione, un litigio con la moglie… la scoperta di un tradimento?”
“Assolutamente no.”
Omar non raccoglieva le palesi provocazioni e restava calmo, disponibile, cordiale.
“Lei è sempre così sereno?” chiese l’anziano magistrato con un po’ d’impazienza.
“Ho chiuso in me la disperazione in un giorno d’estate, diciotto anni fa. Allora avevo appena venticinque anni e, da quel giorno, non l’ho mai più fatta uscire.”
“E’ un uomo molto forte.”
“Determinato.”
“E misterioso.”
“Cerco di essere essenziale, con gli estranei.”
I due uomini restarono un attimo in silenzio, immobili, uno di fronte all’altro.
“Che lei sappia – riprese l’inquirente – c’era qualcuno che poteva volere la morte del Piccinetti?”
Omar si guardò intorno: le quattro pareti dello studio erano quasi completamente ricoperte da quadri e disegni di ogni tipo, da foto, da stemmi, stendardi, gagliardetti, maschere, cimeli provenienti da ogni parte del mondo.
Affissi senza un apparente ordine logico od estetico sorvegliavano il balletto degli umani.
Se si fosse potuto ricomporli nell’ordine cronologico d’ingresso nella stanza si sarebbe potuto ricostruire buona parte della vita dell’uomo morto da poche ore.
“Sicuramente – rispose, infine, Omar – c’erano molte persone che non lo amavano, o che addirittura lo detestavano: che lo vedevano come un nemico. Perché non era certo un tipo comodo, ma non so se c’era qualcuno che avesse interesse alla sua morte. Non credo che ci sia qualcuno che lo sappia… forse lui.” disse indicando sul muro, alle spalle del suo interlocutore, uno splendido batik che raffigurava l’immagine del Buddha nella classica posizione del fiore di loto.
Il magistrato si voltò ad osservare l’immagine e fece una smorfia:
“Si, il buddismo, Maometto… questi hanno fatto tutti così: pur di non riconoscere il proprio dio sono andati a cercare quello di altri… ma non divaghiamo, la prego. Cerchi di rispondere senza ironizzare alle mie domande: eviteremo entrambi di perdere tempo.
Sia preciso: chi sono queste persone che, lei ha detto, detestavano il signor Piccinetti, che lo vedevano come un nemico?”
“Ma non so, no so. Lui lavorava in un mondo di affari ed interessi tanto vasto e sconfinato che, sicuramente, avrà pestato i piedi a qualcuno: questo intendo dire, ma io non conosco per niente fatti e personaggi concreti! Ma, poi, come si fa a parlare di omicidio: qui, in questa casa, in questa stanza dove tutto è al suo posto, dove non c’è segno di lotta. Chi è entrato? Chi è potuto uscire, senza essere visto?”
L’anziano funzionario sembrò soddisfatto di aver fatto scaldare, finalmente, lo straniero:
“Chi ha parlato di omicidio? – disse, con tutta calma – stiamo solo cercando di ricostruire i fatti, stiamo verificando ogni possibilità. In altre parole stiamo solo svolgendo il nostro lavoro nell’interesse della giustizia. Ogni cittadino dovrebbe essere felice che non sia lasciato nulla al caso.”
“Si, io capisco – replicò Omar, riacquistando la calma -, ma vede… Giuseppe… per quello che lo conoscevo io, non era sicuramente il tipo da suicidarsi (per nessun motivo) e tanto meno da lasciarsi uccidere senza lottare. E qui non c’è traccia di lotta.
E’ tutto così inspiegabile…”
Il magistrato annuì:
“Si, è proprio una vicenda inspiegabile.
Comunque, domani, dopo l’autopsia, forse, ne sapremo di più. Speriamo almeno di poter concludere, con sicurezza, che si è trattato di solo di una terribile disgrazia.
Certo che cadere, per sbaglio, da una finestra con il parapetto così alto – continuò il magistrato indicandola – mi pare proprio impossibile.
E, poi: un uomo così potente, così pieno di affari, così chiacchierato – insisté parlando più a se stesso che agli altri – e, in più di due ore di ricerche nel suo studio privato, non abbiamo trovato nulla: non uno scritto, non un appunto… niente di niente che potesse indirizzarci verso un intrigo, un traffico strano, un movente… solo un po’ di carta bruciata in un posacenere, sembra anche una fotografia – disse alzando dal tavolo un sacchetto trasparente che conteneva della cenere – e, da questa, temo che non riceveremo molto aiuto.
Siete voi, solo voi che gli eravate vicini e lo conoscevate bene – asserì, guardando dritto negli occhi Omar – che potete spiegare l’accaduto, se lo volete.
Per il momento, comunque, è tutto: pensi a quello che le ho detto e, se le viene in mente qualcosa, ce lo faccia sapere.”
Entrambi si alzarono in piedi e si strinsero la mano.
Omar uscì.
L’anziano uomo rimase qualche istante assorto, poi interrogò il sottufficiale dei carabinieri che aveva ascoltato fino ad allora, in silenzio, il colloquio:
“Allora, Maresciallo, cosa ne pensa di questo mistero?”
“Che si tratta di una morte apparentemente inspiegabile: si direbbe che si è suicidato, perché non c’è il minimo indizio che faccia pensare ad altro e perché la caduta accidentale, da quella finestra, è difficilmente credibile, ma, francamente per quello che ho capito di lui anche quella del suicidio appare un’ipotesi assai azzardata. Quell’uomo era un lottatore: ambiguo, indecifrabile, forse corrotto e perfino perverso nella sua mania di potere, ma un lottatore! Non esiste, in lui, un movente plausibile per il suicidio.”
“Allora dobbiamo concludere a favore della difficilmente credibile caduta accidentale, del banale incidente.”
Entrambi girarono, di nuovo, lo sguardo verso la finestra.
“Nessuno ci crederà mai, – sentenziò il magistrato – ma a molti farà comodo crederlo e farlo credere…
Caro Olivieri, non si immagina neanche quanta gente si è già interessata a questa disgrazia: ho già ricevuto diverse telefonate… in molti vogliono sapere.
Abbiamo in mano una vera e propria patata bollente e, se chiudiamo il caso nella maniera sbagliata, qualcuno si scotterà le mani.”
“Gli unici dati di fatto, certi, – continuò il carabiniere mettendosi a sedere sulla sedia che era stata occupata da Omar – sono che il Piccinetti è caduto da quella finestra, senza un grido, senza un lamento, come fosse già privo di sensi o fermamente deciso a morire.
C’è poi il fatto che diversi testimoni dicono di aver visto la finestra ancora spalancata quando sono accorsi, mentre noi al nostro arrivo l’abbiamo trovata chiusa…”
“…ma la governante dichiara di averla chiusa lei, all’arrivo della moglie, nel timore di altre disgrazie. E poi sappiamo, – continuò il magistrato – sempre in base alle dichiarazioni della signora Daniela, che nessuno, a parte lei e il signor Piccinetti, era presente in casa a quell’ora e che, anzi, il signor Piccinetti, dopo essere uscito, come sempre, alla mattina presto era ritornato improvvisamente ed inspiegabilmente a casa per chiudersi nel suo studio, fino al momento della disgrazia…”
“Sembrerebbe quasi un crollo nervoso, inaspettato, come per una notizia inattesa, drammatica, devastante…”
“… ma noi abbiamo appena detto che quello non era certo il tipo da cedere alle avversità.”
“No, non lo era affatto.”
“E, così, torniamo indietro di tutte le caselle.”
“Almeno avesse lasciato un messaggio, uno stupido biglietto d’addio – si lamentò il Maresciallo – di solito chiedono scusa, o accusano… ma così, senza una parola… è insolito.”
“E’ insolito e sospetto.”
“Sospetto, dottore, come sospetto! Abbiamo detto che non c’è nessuna probabilità che si sia trattato di un fatto criminoso.”
“No, apparentemente, non c’è nessuna probabilità, ma tutto resta, comunque, molto sospetto.
Comunque, prima di trarre conclusioni affrettate, è meglio attendere domani i risultati dell’autopsia, dei rilievi scientifici e delle indagini sui conti correnti e sugli ultimi affari trattati e conclusi dal nostro enigmatico suicida. Forse, allora, un po’ di nebbia si dissolverà. – l’ometto si alzò e, in piedi, sembrò ancora più piccolo – Per oggi mi pare che sia tutto. Leviamo le tende.”
Si fermò, ancora un attimo, ad osservare la stanza, girando su stesso e sperando in un aiuto improvviso. Un dettaglio, un’ispirazione:
“Niente, niente. Il buio più completo.” Concluse con rassegnazione.
Il carabiniere che aveva seguito e ripetuto i gesti del funzionario ebbe un lampo furbo negli occhi e, poi, indicò l’immagine del Buddha:
“Se almeno lui ci desse una mano… “ ironizzò.
“Andiamo Maresciallo, andiamo – lo rimproverò l’altro – ci manca solo di mettersi a fare gli spiritosi.
Tra poco avremo addosso politici, affaristi e, dio ci salvi, i giornalisti e non sappiamo ancora cosa raccontare…
Ci mancava solo questa oggi.
Passiamo a salutare la signora e scappiamo via da qui.”
Fine Capitolo VIII – continua