VII
Elettra non piangeva, con il volto di marmo, sprofondata in una comoda poltrona di un elegante salotto del suo ricco palazzo, sorseggiava, da una tazza di porcellana, un profumato the alle rose, lo sguardo fisso nel vuoto, muta.
Aveva, da poco, finito di rispondere alle usuali domande dei carabinieri:
“Si, Giuseppe era solo in casa – no, non avevamo particolari problemi – non era depresso – tutto andava per il meglio – non aveva mai avuto malori improvvisi – che dice! Nessuna minaccia! – molte donne, si: incontrate, avute forse, ma nessuna importante, nessuna adesso – gli affari filavano via lisci – no, no … è tutto assurdo – nessun preavviso, nessun presentimento – non ho trovato nessun messaggio – si, sicuramente una disgrazia, ma inspiegabile! Inspiegabile!”
Il the caldo e aromatico, preparato con amore da Daniela, l’anziana signora che, da anni, curava con passione e dedizione assolute le cose di casa e la vita nel palazzo, non riusciva a dare conforto e sostegno al dolore, inespresso, di Elettra.
Di fronte a lei, sulla poltrona gemella, anche lui in totale silenzio, stava Omar: l’amico che l’aveva accompagnata sul luogo della disgrazia.
La sua figura snella ed elegante, i suoi occhi neri e penetranti, i suoi capelli corvini, pettinati all’indietro, ne tradivano l’origine spagnola o latino-americana.
Nessuno sapeva come Omar, qualche anno prima, fosse entrato, all’improvviso, nella vita di Elettra.
Nessuno poteva dire, con esattezza, quali fossero i loro reali rapporti… amicizia… comunità d’interessi culturali… anime affini…
Nessuno si era mai azzardato a dare giudizi o a fare illazioni.
Certo è che tutto era come avvolto da un limpido mistero.
Omar era anche un buon amico di Giuseppe, anche se i loro incontri erano rari e di breve durata. Frequentava, quando era in Italia, per giorni, a volte per settimane, la bottega d’antiquariato di Elettra: con lei faceva programmi, organizzava simposi e riunioni, con lei usciva a pranzo e cena, con lei faceva acquisti e investimenti; per conto di lei riceveva clienti e li consigliava, li indirizzava sugli acquisti con quel suo affascinante accento e con la sua straordinaria competenza.
Poi, d’improvviso, spariva: via per il mondo a seguire i suoi misteriosi affari.
Omar parlava pochissimo e con voce bassa, suadente. Ascoltava, sorrideva, annuiva, non si distraeva mai, non commentava mai. Solo, ogni tanto, dietro il fumo della sua sigaretta, aiutava la conversazione con qualche frase opportuna e, poi, cortesemente, tornava ad ascoltare.
“Non ti sforzare di provare dolore – le disse – ora non puoi, è troppo presto. Non lo cercare, ora, il dolore: purtroppo verrà da solo, nelle prossime settimane e mesi e anni e, a volte, sarà insopportabile… non pensare, ora… non c’è possibilità di capire… non esiste una logica nella vita degli uomini.”
La sua tazza di the, poggiata sul basso, piccolo tavolo tondo e intarsiato, fumava in attesa di essere sollevata alle labbra. Anche la sua sigaretta disperdeva nell’aria inutili arabeschi bluastri.
“I ragazzi come stanno?” chiese lei.
“Male, ma sono in due e si aiuteranno… loro riusciranno a venirne fuori.”
“Il magistrato è sempre nello studio di Giuseppe?”
“Si. E’ di là, con due carabinieri e alcuni tecnici della scientifica: stanno facendo foto e rilievi per cercare di capire com’è successo.”
“Non l’ho mai visto aprire quella finestra. A volte, da dietro il vetro, guardava il fiume e il parco perché, diceva, gli ricordavano i giochi da bambino. Ma non l’ho mai visto aprire quella maledetta finestra… non riesco a capire come sia potuto succedere.”
Omar assaggiò il the, pochissimo, poi rimise la tazza al suo posto.
Restarono, a lungo, in silenzio.
L’uomo controllava ogni gesto, ogni respiro di lei.
Lei pensava e i pensieri affluivano troppo velocemente, confondendosi con i ricordi, tanto da impedirle ogni logica riflessione. Tutto era dominato da quello spasmo interno, continuo, che le si era annidato tra lo stomaco e il cuore, che le dava nausea e vertigine, dolore e stordimento.
“Sai – disse poi – non era l’uomo freddo e calcolatore che tutti credono. Con me, con i figli… nella sua casa, con la sua famiglia riusciva a ritrovare la spontaneità, l’umanità della sua gioventù. Con noi, con i pochi, antichi, cari amici che gli erano rimasti era espansivo, disinteressato, pieno di slanci. Riusciva persino a commettere sbagli, per la troppa foga, per la voglia di fare… era affascinante, in quelle occasioni.
Io, lo sai, non amavo affatto le persone e gli ambienti che lui frequentava per i suoi affari e con cui lui sembrava essere così a suo agio, in sintonia. Gente spesso ottusa, volgare, avida…”
“Neanche lui, io credo, amasse troppo quel mondo, ma se lo era scelto. Come campo di battaglia.”
“Non so, non so perché abbia preso certe decisioni… non sono mai riuscita a capirlo fino in fondo… a volte ho creduto che volesse punirsi, di qualcosa, a volte ho pensato che si credesse una specie di giustiziere, che avesse in mente un qualche colpo a sorpresa finale… era un uomo molto chiuso… indecifrabile, ma l’ho molto amato…”
Ebbe come un tenero sorriso:
“… mi ricordo una volta – continuò – durante una vacanza a Cortina, sul finire dell’inverno, ci ritrovammo a bere qualcosa con un tizio, un impresario, che si occupava di strade, ponti, cantieri insomma. Era una specie di grosso maiale, tutto rasato e abbronzato accompagnato da una moglie che, di per sé, era già un biglietto da visita: una bionda, sai di quelle che tengono ad essere molto appariscenti anche quando hanno superato il limite massimo consentito dall’età…”
Omar annuì immaginandosi il tipo.
“… quella sera, ci trovavamo in un locale molto frequentato, avevamo dovuto ascoltare una quantità incalcolabile di discorsi inutili, ma, probabilmente, Giuseppe aveva in mente di fare qualche affare con quell’uomo perché era stato molto disponibile e scherzoso. Sai che lui quando aveva in mente un obbiettivo riusciva a sopportare tutto.”
“Si, certo che lo so.”
Solo che quella volta la bionda che, poverina, non capiva nulla, voleva mettere bocca su tutto… l’imprenditore si lamentavano delle leggi che negavano la libertà d’iniziativa e la moglie voleva mandare gli statali a coltivare le campagne…
l’imprenditore odiava pagare le tasse e la moglie recriminava per i pensieri che assillavano il marito, anche quando era in vacanza a Cortina…
l’imprenditore si lamentava degli operai che non avevano voglia di fare niente e la moglie recriminava contro il costo del lavoro… “Sono stupidi e arroganti – disse ad un certo punto la bionda – gli operai non hanno riconoscenza, alcuni vorrebbero prendere il nostro posto… come se fosse facile… come se chiunque fosse in grado di gestire un’azienda che vale miliardi!”
A quel punto Giuseppe, non so perché si mise a citare L’Albatros e alla fine “Anche gli operai – disse – sono come il pennuto di Baudelaire: sembrano goffi, ma hanno grandi e stupende ali.” E lei, sai che rispose?”
Omar scosse il capo.
“”Baudelaire? – disse – chi, l’attore francese?” dopo quella sciocca domanda Giuseppe mi prese gentilmente per mano, mi chiese scusa e mi portò via, così, senza salutare, senza dire una parola. Aveva fatto saltare un affare di milioni per un’uscita di testa.
Fu una bella serata. Quella sera… quella notte fummo davvero felici, uniti…”
“Una bella storia.” Commentò Omar.
“Già – disse Elettra – poi, come nulla fosse, la mattina successiva Giuseppe partì molto presto. Aveva un appuntamento con un funzionario molto influente e, come sempre, portò con sé una borsa piena di documenti e di soldi contanti. I suoi traffici non sono mai finiti, fino a stamani…”
Attimi lunghi di silenzio avvolsero, di nuovo, l’uomo e la donna: lei teneva gli occhi chiusi e la testa appoggiata allo schienale della poltrona, quasi reclinata all’indietro, sembrava che stesse per assopirsi, Omar le tolse la tazzina dalla mano, con delicatezza:
“Mi starai vicino? – chiese lei, senza aprire gli occhi – ho bisogno del tuo aiuto.”
“Ho disdetto la prenotazione del posto in aereo: ho rimandato la partenza, ma potrò restare, al massimo, fino a fine settimana. Poi dovrò necessariamente andare e, prima del mio ritorno, lo sai, passeranno alcuni mesi… ma cercherò di farti sentire anche da lontano la mia amicizia…”
Elettra sospirò, un sospiro profondo, doloroso, come un lamento.
Riaprì gli occhi: pesti, cerchiati, lividi.
“Non riesci a riposare? – chiese lui – Vuoi che ti lasci sola?”
“No, no! Ti prego, non te ne andare… mi sento vuota… io non so dire se l’amavo ancora, come all’inizio voglio dire… con tutti i suoi lati oscuri, i suoi silenzi, le cose non dette… ma la sua capacità di affrontare la vita di petto, di rischiare tutto, magari solo per il gusto di farlo, la sua forza e la sua volontà, la sua carica mi affascinavano ancora.
Non so, sai, se sono mai riuscita a capire chi fosse… ma, in fondo, non sono mai riuscita ad essere obbiettiva nei suoi confronti… mi… mi travolgeva con la sua energia, con la sua intelligenza e ora… ora sento che mi mancherà e ho paura.”
“Devi reagire: per te, per i tuoi figli. Sai gli orientali credono che nel bene siano contenuti i principi del male e che nel male esistano già i semi per la rinascita del bene…”
“Nella morte non credo si possano trovare i semi del bene.”
Omar si avvicinò ad Elettra: piegato sulle gambe, di fronte a lei, le prese una mano tra le mani e cominciò ad accarezzargliela, dolcemente:
”Vedi – disse – secondo le filosofie orientali la morte non è la fine di tutto, ma solo una fase di mutamento che presuppone una nuova nascita. Magari sotto forme migliori. E’ un ciclo continuo, morte e vita, che può concludersi solo con il raggiungimento della perfezione: la fine delle passioni, la santità, il nirvana. La nostra religione ci offre una sola vita, una sola opportunità; per loro è diverso: chi sbaglia ha l’opportunità di tentare ancora… e ancora. E’ più bello…”
Elettra lo guardò negli occhi e il suo sguardo si era fatto più duro:
“Tu credi a queste fesserie?”
“…no, purtroppo, no – rispose Omar, con dolore – ma sarebbe molto bello, molto consolante poterci credere… io penso… penso che… che… – la guardò negli occhi tristi, l’accarezzò sul viso, si commosse – o, mio dio, scusami, scusami.”
Elettra lo baciò in fronte:
“Sei tanto caro.”
Entrò Daniela:
“Signora, mi scusi. – disse – Il maresciallo ha chiesto del signor Omar.”
L’uomo si alzò in piedi, si aggiustò i capelli all’indietro con le due palme delle mani aperte:
“Vengo subito. – accarezzò, ancora, le mani all’amica – Cerca di riposare – le sussurrò – torno presto.”
Fine Capitolo VII – continua