IX
Omar era tornato subito da Elettra: lei pareva non essersi mai mossa dalla posizione in cui l’aveva lasciata.
Le si avvicinò e l’accarezzò nei capelli, poi si mise a sedere, di nuovo, di fronte a lei.
“Il the si è raffreddato – disse la donna – chiamo Daniela e te lo faccio rifare.”
“No. Non ti preoccupare, non importa.”
Lei non insisté:
“Non sappiamo ancora quando potremo fare il funerale?” chiese.
“Sicuramente non domani. – disse Omar alzandosi – Il Giudice ha disposto l’autopsia per domattina.”
“Mio dio.” Sospirò Elettra.
Omar si era avvicinato alla parete, girava le spalle alla donna ed osservava un grande quadro che riproduceva una battaglia tra spagnoli e francesi.
Sembrava di poter sentire ancora il fragore delle corazze e delle armi che si scontravano e le grida di rabbia e di dolore dei soldati e il rumore degli zoccoli dei cavalli che colpivano il suolo ed i nitriti.
L’uomo cercò rifugio nei dettagli del dipinto: nel ghigno violento e vittorioso dei combattenti, nel dolore e nel terrore impresso negli occhi dei colpiti a morte, nei muscoli pettorali, tesi e scattanti, degli animali impegnati allo spasmo, nella bava, nel sangue, nei drappi laceri e mossi dal vento e dall’impeto, nei colori accesi e decisi delle insegne, nei riflessi del cielo sul metallo lucente delle armature.
L’artista aveva colto e bloccato l’attimo e trasformato la tragedia in armonia ed equilibrio.
Le membra alzate, sollevate dal suolo, lo sforzo, il carico, il peso, la fatica di quell’istante erano state liberate dalla prigione della forza di gravità e da quella, ancor più opprimente, dello scorrere del tempo.
Tutto era sospeso con la leggerezza della musica, con l’incanto dell’illusione.
“Quel quadro piaceva molto a Giuseppe – disse Elettra che si era alzata ed aveva raggiunto Omar – era, per lui, il simbolo della volontà di lottare. Sempre, ad ogni costo.
Gli piaceva la faccia di quel giovane soldato francese, a terra, minacciato dalla spada del nemico, gli piaceva il suo sguardo sicuro, deciso, di sfida “Se la scena potesse continuare – mi disse una volta –vedremmo che quel ragazzo non muore, che schiva il colpo e fa secco il suo aggressore. Perché ha negli occhi la forza e la volontà di vittoria, perché sa perfettamente che nessuno è più forte di chi non ha più niente da perdere” così mi disse – ripeté la donna – così vedeva lui la vita.”
“Era un uomo molto forte ed anche molto ottimista perché sapeva bene che quella battaglia la vincemmo noi spagnoli: era il 17 luglio 1808, fu la battaglia Bailén a segnare la prima sconfitta di Napoleone sul continente europeo.”
Commentò Omar.
Di fronte a quella grande immagine di guerra la donna si era avvicinata ancora di più all’amico e, con il braccio sinistro, l’aveva stretto alla vita appoggiandogli il capo alla spalla. Lui la strinse a sé.
“Non era disperato – disse Elettra – stava bene. Aveva voglia di fare, era motivato, pieno di idee, pieno di energia… se n’è andato in modo così misterioso…”
“Forse, al contrario del soldato francese, Giuseppe aveva molto da perdere e chissà che così facendo non abbia voluto salvare ciò che aveva di più caro.”
“Non posso capire… non riesco a capire…” disse lei e, finalmente, riuscì a piangere.
Alle loro spalle, in quel momento, erano entrati il magistrato e il maresciallo, in silenzio, senza essere annunciati.
Il militare diede incrociò il suo sguardo con quello del magistrato con espressione ammiccante. Il giudice rispose con uno sguardo di rimprovero e cercò di far rumore con i piedi, sul parquet.
“Mi scusi signora – disse infine – mi scusi se la disturbiamo ancora. Noi, per il momento, qui abbiamo finito. Domani mattina ci… si, insomma, domattina il maresciallo vi comunicherà…”
“Si, si ho capito. – lo interruppe Elettra asciugandosi gli occhi con le mani – Grazie, grazie di tutto. Arrivederci.”
I due fecero un piccolo, buffo inchino, arretrando, ed uscirono.
Elettra si staccò da Omar e lo guardò con occhi che ringraziavano:
“Vai anche tu, adesso. Vai: hai già fatto molto per me. Ora io… ora io devo andare dai miei ragazzi, dai miei poveri bambini.”
Omar le accarezzò dolcemente il viso e la salutò:
“Più tardi ti telefono. Ciao.”
Fine Capitolo IX – continua