IV
Don Clemente, a quell’ora, era solito fare un breve riposo in poltrona.
Si accomodava con un libro aperto tra le mani e, lette poche righe, lo adagiava sulla tonaca tesa dalle gambe aperte e dalla pancia prominente, socchiudeva gli occhi e avviava un sonno fatto di sibili e borbottii.
Ma quello era stato un giorno funesto: già la disgrazia gli aveva rovinato il pasto e, ora, quando cominciava a pregustarsi il meritato riposo, ci si era messo anche il maresciallo.
Il militare aveva suonato il campanello della canonica quando Don Clemente non si era ancora alzato da tavola e, con ferma cortesia, aveva insistito per essere ricevuto subito.
Il maresciallo Olivieri era un uomo ancora assai giovane, un tipo, a suo modo, raffinato e cordiale:
“Mi deve scusare, Padre, – disse accomodandosi sulla sedia, di pelle nera, che stava di fronte alla scrivania, di legno scuro, del parroco – ma, con quello che è successo, siamo tutti sotto pressione. Il capitano vuole avere con la massima urgenza un rapporto sulla persona del defunto Piccinetti… è il magistrato, in verità, che vuole avere tutte le informazioni possibili, perché sa… quell’uomo, il Piccinetti appunto, non doveva poi essere una persona qualunque.”
Il vecchio prete trattenne uno sbadiglio e un occhio gli prese a lacrimare:
“Ah, la vecchiaia! – disse estraendo da sotto la tonaca un grande fazzoletto bianco e asciugandosi il volto – sapesse, maresciallo… la vecchiaia!”
“In caserma – riprese, con calma, il militare – abbiamo un fascicolo assai nutrito intestato a Giuseppe Piccinetti, ma… sa com’è… le carte sono fredde e non raccontano mai tutto. Anzi, spesso, si perdono i dettagli più interessanti. Io, d’altra parte, sono qua da pochi anni e quell’uomo l’ho conosciuto poco… o troppo tardi. Così mi sono detto chi meglio di Don Clemente, che da più di trent’anni è il parroco della nostra cittadina, può raccontarmi la vita di quello sfortunato uomo?… chi meglio di lei, Don Clemente?”
Il vecchio parroco si rimboccò le larghe maniche della sua veste, appoggiò i gomiti sulla scrivania e cominciò a parlare, di gran carriera, come per liberarsi al più presto di quell’incomodo:
“Quello, caro il mio maresciallo, me lo ricordo bene, era un comunista di quelli arrabbiati. Era un ragazzino, vivace, come tanti altri… di buona famiglia… la mamma molto attenta, molto devota: una maestra elementare; il padre, il ragionier Piccinetti Ernesto, aveva uno studio molto bene avviato: tanti clienti, gente facoltosa. Veramente una buona famiglia e questo ragazzino… sarà stato il sessantasette… o il sessantotto, tutto in un colpo, me lo sono ritrovato, sui vent’anni, con i capelli lunghi e due baffoni neri, lunghi fino al mento, che facevano paura!”
“Si – confermò il maresciallo – ho visto una foto, nel fascicolo.”
“…era diventato un capopopolo… faceva finta di andare all’università, mi pare architettura, ma il suo tempo lo dedicava solo ai movimenti, alle lotte, alla contestazione…lui, come tanti altri eh! Era stato investito da questo fuoco luciferino, da questo ardore, furore giovanile. Sarà stato prima un gioco, o una sfida, ma poi cominciarono a fare paura, ad essere violenti. Di sera, di notte si girava mal volentieri: si aveva sempre timore di un atto dimostrativo… di un’aggressione… questi, che erano rossi, e gli altri, i neri, andavano avanti a comizi, cortei, occupazioni, bombe molotov, sprangate, agguati e, soprattutto, riunioni, riunioni, riunioni…”
“Lo so, lo so – sospirò il maresciallo – queste cose le ricordo molto bene anch’io.”
“Comunque sia avevano la testa gonfia di parole vuote come la lotta di classe, la dittatura del proletariato, lo sfruttamento, l’alienazione e poi la rivoluzione cubana e il Vietnam, la Grecia dei Colonnelli e il Cile… tra una fesseria e l’altra, credo che sia stato anche fermato…”
“…si, due volte, dopo altrettanti scontri di piazza. Risulta dal suo fascicolo. E, un’altra volta è finito anche in ospedale con diverse fratture: risultato di uno scontro, una vera e propria rissa con pestaggi tra estremisti di sinistra e neofascisti…di quel periodo sono, anche, le sue frequentazioni con alcuni personaggi che, poco dopo, entrarono in clandestinità e passarono alla lotta armata. Poi, più nulla: le mie informazioni, i miei documenti si fermano con il millenovecentosettantaquattro. E’ da questo punto che mi serve il suo aiuto.”
Don Clemente si soffiò, fragorosamente, il naso, si passò una mano sulla pelata come per ricercare il filo del discorso:
“ Beh, come sia successo io proprio non lo so: sua madre aveva pregato tanto perché quel figlio recuperasse la ragione… chissà, la mano di Dio…comunque quel ragazzo, a metà degli anni settanta, si rese probabilmente conto che il suo sogno, che il suo mondo era svanito nel nulla e che si sarebbe potuto salvare solo cambiando radicalmente vita… andò via dal paese per un bel po’ di tempo, in India, credo.”
“Ci dovevano essere colonie di italiani in India in quel periodo.”
“Fatto sta che quando è tornato non lo riconoscevamo più: capelli corti, viso pulito, vestiti eleganti, modi raffinati… un’altra persona. Mi pare di ricordare che, per un certo periodo ancora, la polizia lo ha tenuto sotto controllo anche con perquisizioni in casa e in ufficio, ma lui, le ho detto, era diventato un altro. Grazie a suo padre si era messo a fare l’assicuratore, aveva aperto un ufficio, ed è stato molto bravo perché da lì ha cominciato a fare affari, investimenti, gestire soldi, combinare incontri, accordi, relazioni… in poco più di dieci anni pare che abbia messo su un bell’impero economico.”
“… è saltato da una barricata all’altra ed ha conosciuto il fascino irresistibile del denaro.”
Il vecchio prete si asciugò, di nuovo, il viso con il fazzoletto evitando di esprimere giudizi:
“Aveva anche grandi slanci di generosità – disse – pensi che ha praticamente comprato e regalato il più ambito bar del paese ad un suo amico e compagno di lotte che aveva fatto un paio d’anni di galera per motivi politici. Con questo l’ha tolto dalla strada, dai guai e gli ha regalato un futuro agiato…”
“Avrà ricambiato qualche favore…”
“Non so – disse Don Clemente – di sicuro c’è che il nostro Piccinetti, in breve tempo, è diventato nel suo piccolo, dopo la morte dei genitori… strana…improvvisa, per un incidente stradale…, un uomo importante. Un finanziere molto ascoltato da chi vuole fare carriera, tanto negli affari, quanto in politica.”
“E la moglie?”
Il vecchio prete si lasciò andare ad un commento laico:
“Una donna elegante, sobria, l’ho vista poche volte in chiesa. Un paio di volte, mi pare, giusto per Pasqua. Una signora che sta sulle sue e che non ha mai dato adito a dicerie o a situazioni sconvenienti. Una donna devota al suo ruolo di madre di famiglia. Elettra: che nome! Quando arrivò sembrò che il paese fosse troppo piccolo per ospitare una personalità così…”
“Ne ha un alto giudizio…”
Don Clemente frenò, bruscamente:
“Come le ho detto, quella famiglia non frequenta la parrocchia, non posso darne un giudizio morale. So soltanto che lei, la moglie, è di poco più giovane del Piccinetti e che si dice che si siano conosciuti in vacanza, in una di quelle isole tropicali tanto amate dai giovani benestanti, e che non si sono più lasciati. Un grande amore… dicono.
Lei, una giovane abituata a girare il mondo. Laurea in Storia dell’Arte. Ha lasciato tutto, è venuta in questa piccola cittadina per stare accanto a suo marito, il quale, come dono di nozze, le ha aperto un negozio di antiquariato.”
Il maresciallo annuì:
“Si, il più importante della regione: un regalo da trecento milioni! Il resto credo di conoscerlo: due figli, la villa in Sardegna, l’attico a Milano dove si chiudono gli affari più importanti, la baita sul Gran Paradiso, conoscenze elevatissime: gente ricca, importante, gente che conta…”
“In paese sono sempre stati molto riservati, poco mondani, poco appariscenti…”
Il parroco, ora, pareva più stanco, o annoiato.
Il maresciallo si alzò dalla sedia, si sentiva la schiena sudata e quell’ambiente chiuso e buio cominciava a dargli fastidio:
“Bene, Don Clemente, – disse, stringendo con vigore la mano al prete – la ringrazio tanto per il suo aiuto e, di nuovo, mi scuso per la mia intrusione. E’ ora di togliere il disturbo: lei avrà, senz’altro, molte cose da fare.”
“Molte cose! – confermò con gravità il parrocco mentre tratteneva uno sbadiglio – Il tempo non mi basta mai, figliolo.”
Fine Capitolo IV – continua