II
Ci fu qualche secondo, lunghissimo, di assoluto e sbigottito silenzio, poi i rumori attutiti, quotidiani del paese si tramutarono in un vocio indistinto e inusuale, sempre più intenso.
Richiami e grida si levarono dalla strada di là dal fiume.
Sandro, stordito, era in piedi, immobile.
Bull lo guardava allegro e con la lingua penzoloni, da un lato della bocca, aspettava nuove carezze.
Finalmente Sandro si mosse, di scatto cercò sulla panchina il guinzaglio, attaccò il cane e, senza pensare, partì a corsa verso il ponticello di legno per raggiungere al più presto il paese.
Il cane correva al suo fianco convinto di giocare e stupito per l’improvviso dinamismo del padrone ogni tanto abbaiava e spiccava salti per liberarsi del collare.
Le assi del ponte risuonavano cupamente sotto ai loro piedi mentre l’ambulanza della vicina Croce Bianca si mise in movimento con tutte le sirene che gridavano al disastro.
Sandro e Bull, che cominciava a capire che non si trattava di un gioco, piombarono sfiatati nella stradina, stretta tra il muraglione del fiume e le case, e si unirono alla piccola folla che già si era formata intorno al fantoccio dell’uomo steso in modo innaturale e scomposto sull’asfalto.
Sangue, sangue che usciva da tutte le parti, sangue come vino da una damigiana rotta.
Lamenti, lamenti di chi arrivava e lamenti di chi già se ne andava sconvolto.
Sconforto per tutti, sconforto per la giovane commessa del negozio di scarpe giunta lì per prima, mentre l’uomo cadeva, e che piangeva seduta in un angolo di strada, sconforto per il barista che aveva riconosciuto l’amico morto.
Grida, grida di chi non poteva trattenerle e grida di chi si voleva far vedere che gridava.
Un senso di vuoto, inutilità, impotenza.
“Chi è?”
“Com’è successo?”
“Perché?”
“Oddio!”
“Dio mio!”
“Mi sento male…”
La piccola folla si allargò composta per lasciare spazio all’ambulanza che, giunta sul posto, almeno aveva smesso di far gridare la sirena.
Il medico cercò il polso al mucchio di cenci.
“Non c’è più niente da fare. E’ morto.”
“Non lo muovete.”
“Qualcuno chiami i carabinieri.”
“Stanno già arrivando.”
Stesero un lenzuolo bianco sopra il poveraccio.
Presto il lenzuolo si sporcò di sangue e asfalto.
Sandro e Bull stavano un po’ defilati, non volevano disturbare, non volevano passare per curiosi o morbosi, si sentivano quasi in colpa di essere lì, ma non riuscivano ad allontanarsi.
Come tanti altri restavano lì, a pochi passi dal morto, a scambiare mesti saluti di circostanza, mezze frasi, occhiate disperate.
Uno disse piano:
“E’ Beppe, il Piccinetti. E’ venuto giù da lassù, da casa sua. Guarda c’è sempre la finestra aperta.”
“Chi è?”
“Il Piccinetti, l’assicuratore.”
“Ah, quello – fece una signora anziana, tutta cotonata – Dio mio, poverino, è giovane.”
“Avrà una cinquantina d’anni.”
“Si sarà sentito male…”
“…si, certo, un malore…”
“…un giramento di testa, vertigini…”
“…faceva il grande, ma qualche problemino ce l’aveva anche lui…”
“…problemi grossi…”
“…l’avevo visto stanco, e nervoso, ultimamente…”
“…ma che dici! Era un uomo sereno…”
“…si, una disgrazia…”
“…sst, fate silenzio, per favore…”
“…un po’ di rispetto, almeno un po’ di rispetto…”
Arrivò la macchina dei carabinieri:
“Indietro, indietro! Qui non si può stare!”
Bull era dietro a Sandro e gli aveva infilato il muso tra le gambe, guardava la scena con strana attenzione.
Sandro gli grattava la testa.
Adesso la strada era proprio piena di gente e di brusio, i carabinieri spingevano indietro i curiosi.
Le facce erano stravolte, eccitate, gli occhi spalancati.
A piccoli passi si componevano e scomponevano gruppetti di persone: due parole, un’occhiata alla tragedia, un sospiro, un commento…
Infine, accompagnata da un amico, giunse la moglie: poco più di quarant’anni, altera, elegante, dignitosa, la faccia impietrita, color d’alabastro, piegò le gambe (lunghe, carezzate da calze chiare) componendosi con le mani la gonna, si tolse gli occhiali da sole e con un gesto estremo li appoggiò sull’asfalto, sospirò un sospiro così lungo che pareva non dovesse finire mai. Alzò il lenzuolo, senza una parola, appoggiò la mano sinistra sui capelli del marito e lo accarezzò, dolcemente, a lungo, non pianse, non pianse mai, i suoi occhi sembravano rincorrere, nel vuoto, gli anni trascorsi e rivedere il film della vita, ora tremendamente inutile, il dolore immenso e la malinconia eterna espressi dalla dura immobilità del viso gettavano al cielo silenziose e assordanti grida di disperazione.
L’universo sembrava muto e la folla scomparsa.
Solo l’amico, in piedi, alto accanto a lei, assisteva tendendole una mano aperta verso la spalla, a sfiorarla, senza toccarla, tesa a trasmetterle il calore di una presenza importante.
Sandro non aveva mai visto tanto impotente dolore unito a tanta eleganza e si commosse: pianse, davanti a tutti, senza ritegno alcuno.
Un carabiniere si avvicinò, delicatamente, alla donna e le disse qualcosa, con tono sommesso e rispettoso.
Lei annuì un paio di volte col capo e, dopo un’eternità, si rimise gli occhiali scuri e si alzò, con fatica, aiutata dall’amico.
Si allontanò con il capo appena piegato in avanti e sparì dietro l’angolo della sua casa.
I carabinieri poterono cominciare a fare fotografie, misurazioni e segni sull’asfalto.
Arrivò anche il medico legale accompagnato dal medico di famiglia e, poi, il magistrato.
Parlavano, tra loro, con tono sicuro, competente.
Piano, piano la folla si scompose, rimuginando come una risacca sull’accaduto, Sandro e Bull tornarono, mestamente, sui loro passi.
Fine Capitolo II – continua