Il 4 ottobre 2021 sarà ricordato come uno dei giorni più difficili del centrosinistra seravezzino.
La sconfitta alle elezioni amministrative brucia molto, dopo venti anni di buon governo del Comune e lascia amareggiati perché capita proprio nel momento nel quale avevamo messo in campo una candidatura tutta rivolta al futuro come quella di Valentina Salvatori, prima donna candidata a Sindaca della nostra storia locale e persona capace, preparata, seria e onesta.
Lascia amareggiati anche perché la lista di candidati al Consiglio Comunale di Seravezza costruita a sostegno di Valentina era, ed è una lista di persone eccellenti e indubbiamente accreditabili di poter fare molto bene alla guida del nostro territorio.
Però, nonostante questo, la sconfitta c’è, è netta, indiscutibile.
Dobbiamo dunque dare atto ai nostri avversari di avere, questa volta, letto meglio di noi gli umori della nostra gente e di averne saputo interpretare meglio di noi le legittime aspettative.
In politica si può perdere anche se si agisce e si amministra bene: si perde perchè le elezioni sono come una guerra, per fortuna senza armi, che viene vinta da chi è più forte, da chi ha migliori armamenti ed ha truppe meglio addestrate e motivate e armi migliori.
Si perde anche perché ci si trova nel luogo sbagliato e nel momento sbagliato.
In politica si vince e si perde e non ci si deve far condizionare né in un caso né nell’altro.
Però dalle vittorie e soprattutto dalla sconfitte si deve imparare e si può imparare soltanto soffermandoci, senza infingimenti o manieristici buonismi, sull’analisi profonda di ciò che è accaduto.
Questo devono fare, con calma ma perseveranza, le forze progressiste di Seravezza per cercare di comprendere quando, come e perché si è interrotto il rapporto di reciproca fiducia e collaborazione tra loro e la grande massa dei cittadini.
Se su 11.194 aventi diritti al voto 4.944 non si recano alle urne e se su 6.250 che vanno a votare soltanto 1.936 ci hanno scelto questo significa che non abbiamo convinto 9.258 concittadine e concittadini e, anche a fare il conto soltanto su coloro che hanno votato, il fatto di non essere stati scelti da 4.314 di questi è una dato che deve fare riflettere seriamente.
I numeri danno evidenze così macroscopiche che sarebbe semplicistico e ingiusto lasciare la croce in spalla a chi si è candidato e a chi ha messo la faccia in questa sfortunata avventura.
Qui emergono problematiche strutturali, forse annose, di una sempre minore capacità da parte di nostra di legare le nostre scelte e le nostre strategie al profondo sentire dei cittadini che amministriamo e ancor più una non evoluzione e adeguamento ai tempi delle forme organizzative delle nostre forze politiche e sociali e delle tecniche e modalità di svolgere una campagna elettorale.
Riflettere significa rimettersi in discussione, significa assaggiare fino in fondo il sapore amaro della sconfitta per scoprirne le ragioni e cominciare a formare gli anticorpi; significa anche interpretare il nuovo ruolo di opposizione come una opportunità per ricostruire contatti, conoscenze e visioni e per rinnovare il nostro modo di leggere il territorio e la popolazione che lo abita e per prepararsi al tempo, che sicuramente ci sarà, nel quale torneremo ad essere maggiranza e ad amminstrare Seravezza e a guardare con ottimismo al futuro.