Mi sono avventurato, qualche giorno fa, in una riflessione di medio e lungo periodo sui temi della cultura, della pubblica istruzione e più in generale della formazione formale e informale, approfittando della clausura forzata e soprattutto dello schock prodotto da questa estraneante esperienza alla quale il Covid-19 ci costringe.
Dicevo che sarebbe stato utile fin da adesso “prepararci al dopo e mettere in fila analisi e riflessioni che, probabilmente, avremmo già dovuto fare e applicare in precedenza, ma che non abbiamo fatto perché tanto “la barca andava” e anche perché, evidentemente, non era bastato ad incrinare la fiducia di noi italiani nella “nostra buona stella” il ciclone più che decennale della crisi economica, finanziaria e commerciale che aveva colpito tutto il mondo occidentale e capitalista a partire del 2008 e per oltre dieci anni.”
Oggi che siamo messi di fronte alla nuova stretta anti-epidemia prodotta dai decreti dei Ministri della Salute e dell’Interno prima e dal Presidente del Consiglio poi, emanati a poche ore di distanza l’uno dall’altro ed entrambi il 22 marzo, viene abbastanza spontaneo, anche dopo aver preso atto delle migliaia di richieste di chiarimento relative a problemi spiccioli e quotidiani sollevati dai cittadini italiani, ri-avviare una riflessione pensando alla distanza che intercorre tra la realtà della vita nel terzo millennio e l’organizzazione istituzionale del nostro Paese.
Nello specifico vorrei fare alcune osservazioni su ciò che conosco meglio e, cioè, gli Enti Locali e, particolarmente, i Comuni.
Dunque il Ministro Speranza e la Ministra Lamorgese decretano che a partire dal 22 marzo è fatto divieto su tutto il territorio nazionale “a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in Comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute.”
Partendo dal presupposto che questo provvedimento, come il successivo del Presidente Conte, siano mossi da indiscutibili e oggettivamente giusti motivi di tutela della salute pubblica e che quindi vadano rispettati, non si può, conoscendo la realtà degli oltre settemila Comuni italiani, non pensare che queste decisioni non siano state pensante se non pensando principalmente alla scala di misura dei Capoluoghi di Provincia e, comunque, a quelle realtà urbane che nel linguaggio comune chiamiamo Città.
Per stare alla Versilia potremmo dire che questo provvedimento calza, forse, su Viareggio, ma certamente spara con un cannone sulla mosca degli altri Comuni versiliesi.
La prima riflessione che mi viene è che se, negli ultimi cinque anni, i Sindaci versiliesi (quelli di Pietrasanta e Viareggio in particolare) avessero dedicato le loro energie a rafforzare piuttosto che a sfasciare le fragili chiglie dell’Unione dei Comuni della Versilia, della Società della Salute della Versilia, delle funzioni associate delle Polizie Municipali, delle Protezioni Civile, della Paesaggistica, dei Suap ecc., oggi avrebbero buon diritto di “chiedere al Prefetto” il riconoscimento di un bisogno ineludibile a superare il confine del Torrente Bonazzera o della Fossa dell’Abate e non si troverebbero, ad esempio, migliaia di residenti nell’ansia di dover dimostrare che l’attraversamento di un ponte non avviene per sfizio, ma piuttosto per andare a lavorare o a fare la spesa o a fare una importante visita medica.
Ma se vogliamo ragionare più seriamente, lasciando la miseria di chi sottomette la politica alla propaganda, quello che correttamente va detto è che la realtà dei Comuni, in Versilia come in Italia, è drammaticamente fossilizzata, da un punto di vista delle funzioni amministrative pubbliche locali, al secolo scorso e che tutte quelle spinte che periodicamente sono state provate per cerca di riorganizzare gli Enti Locali secondo i tempi di spostamento, le esigenze, i mezzi, i modi di vita attuali sono stati penosamente sconfitti dagli errori di impostazione dei riformatori stessi, in primo luogo le Regioni, dai campanilismi prodotti, come virus contro l’innovazione, dai territori: cioè dalla maggioranza dei cittadini, dai micro interessi di una politica da cabotaggio e dall’indifferenza di tutto il resto delle classi dirigenti locali: imprese, sistema finanziario, mondo della cultura, ecc.
Ma la verità è che, in questa situazione, i cittadini sono costretti da una situazione che è stabilita nel passato e che nessuno negli ultimi decenni è riuscito a mettere al passo con il tempo: siamo tutti immobilizzati dentro una fotografia virato seppia degli anni Venti del Novecento!
I cittadini di tutto il Comune di Stazzema non possono più andare a fare la spesa alla Conad City di Seravezza; quelli di Ruosina residenti sul lato di Seravezza non possono più prendere l’auto che è parcheggiata nel parcheggio lato Stazzema; quelli di Strettoia e Montiscendi hanno i problemi di una enclave medievale; lungo la via Emilia i residenti di via Via Versilia non potranno raggiungere le attività che hanno di fronte casa su Seravezza e quelli di Seravezza su via Federigi non potranno farlo su quelle di fronte che sono sul Comune del Forte; i residenti di Sant’Anna di Stazzema sono isolati dal resto del mondo e tra Pozzi e Ponterosso succederà forse quello che capitò con il bombardamento Alleato del ponte nel 1944…
Di questo passo potremmo percorrere tutta la Versilia e trovare ovunque simili problemi fino a Torre del Lago dove, per fortuna, ci daranno respiro la macchia maditerranea e il lago di Massaciuccoli che fanno da confine naturale tra noi e le lontane terre del pisano.
La vita vera, quella che in questi giorni non viviamo più ma che necessariamente e auspicabilmente torneremo a vivere, si spera prima che poi, ci racconta però una realtà differente rispetto a quella che abbiamo voluto che permanesse sul piano della pubblica amministrazione e che non esiste più da diversi decenni, se non nella mente dei sovranisti a chilometro zero.
La vita vera ci dice che la Versilia amministrativa intera, quella dei sette Comuni, e a maggior ragione la Versilia Storica o Medicea esistono solo e soltanto dentro un sistema ineludibile e strettissimo in interconnessioni e interrelazioni che sono oramai inestricabili e che hanno assunto un tale livello di inclusione e omogeneizzazione che rende impossibile ogni tentativo di interruzione dei flussi tra i diversi territori.
Esistono rapporti di ogni tipo: parentali, umani, lavorativi, commerciali, culturali, sportivi, strutturali, infrastrutturali, di erogazione e fruizione dei servizi, di risposte ai bisogni, di abitudini ludiche e personali per le quali i confini tra realtà così piccole resistono, forse, soltanto nei pensieri di qualche Assessore al ramo…
I disagi di oggi, causa certo dalla pandemia, vengono ingigantiti dal fatto che abbiamo confini comunali che sono inadatti alla vita quotidiana di tutti noi.
Personalmente, chi mi conosce lo sa, io sono un pubblico e devoto sostenitore della necessità di fondere in unico Comune almeno i quattro Comuni che potrebbero decidere di unirsi nel Comune della Versilia: Forte dei Marmi, Pietrasanta, Seravezza e Stazzema.
Tra il 2012 e il 2013 ci sono stati barlumi di possibilità di avviare questo percorso: a Seravezza facemmo atti ufficiali, come Sindaco, Giunta e forze politiche di maggioranza, in questa direzione, ma nessuno raccolse.
E comunque, prima delle soluzioni, devono arrivare le consapevolezze e le volontà: due attributi che sembrano mancare a quei Sindaci che, senza proporre alternative valide, hanno deciso di non entrare o addirittura uscire dall’Unione dei Comuni della Versilia e si sono messi a fare, tra di loro, obbligatori accordi bilaterali per gestire servizi che da soli non potevano più gestire: manco fossero l’UK!
E comunque il tema resta perché, come Versilia, siamo ancora adesso a dover ricordare come l’unico intervento degno e all’altezza dei bisogni contemporaneo dei nostri cittadini resta ad oggi quell’Ospedale della Versilia che in moltissimi, a suo tempo, non volevano perché pensavano di poter tutelare la salute dei versiliesi mantenendosi gli ottocenteschi ospedali comunali, e che è stato pensato e voluto nell’ultimo decennio del Novecento e che è stato inaugurato nel 2002, cioè quasi venti anni fa!
Se non si è in grado o non si vuole pensare alla fusione dei Comuni si devono comunque abbattere i confini tra i nostri comuni nella erogazione dei servizi e nella pianificazione degli stessi.
Con la crisi dei queste settimane, i confini tra nostri piccoli Comuni, sono stati messi in rilievo con l’evidenziatore dal Governo Conte e sono percepiti, adesso, da noi cittadini come un ostacolo e non come un rifugio; come un danno e non come un beneficio; come un limite e non come una concessione; come una privazione e un castigo e non come come una ricchezza o un premio.
Questi confini così rigidi e vecchi ci raccontano qualcosa, lanciano un monito al futuro, al dopo Covid-19: ci dicono di cominciare a pensare oltre, a preoccuparci di organizzare la nostra civiltà secondo l’oggi e il domani e non più secondo come era ieri e ci richiedono di avviare una grande riforma per abbattere gli ostacoli e risolvere i problemi, non avendo paura di sperimentare strade e mari nuovi.
Ettore Neri
Pietrasanta, 23 marzo 2020