UNO
La destra si è aggiudicata una larghissima maggioranza alle elezioni con l’affluenza più bassa della storia repubblicana e con gli stessi voti che aveva preso nel 2018.
La destra alla Camera ha preso il 43,8% dei voti validi (pari a 235 deputati) mentre la somma dei voti della nostra coalizione e del M5S a preso il 41,5%, ma la mancata alleanza ha portato all’opposizione progressista soltanto 131 deputati.
Evidente che siamo di fronte ad un disastro strategico epocale causato dalla classe dirigente politica, non dagli elettori: la dimensione della sconfitta non deriva dai numeri elettorali, ma dal mancato accordo con il M5S.
Il segretario del PD e il gruppo dirigente hanno fatto una scelta sbagliata perché hanno confuso il prestigio internazionale del presidente Draghi con il consenso elettorale in Italia.
Come ho detto più volte non sono mai stato un fan di Letta. Non mi è piaciuto come andò via quando Renzi tirò giù il suo governo e non mi è piacuto il suo ritorno, senza un congresso, senza uno straccio di coinvolgimento democratico dei militanti, non mi è piaciuta la sua campagna elettorale. Le sue preannunciate dimissioni, il giorno dopo la sconfitta, senza una riflessione collegiale non mi hanno stupito ed hanno confermato il mio cattivo giudizio sul Letta politico.
Ma certo se siamo a questo punto non è soltanto responsabilità di Letta: sono oltre dieci anni che il PD lavora alla distruzione della propria immagine e del proprio consenso puntando esclusivamente ad usare gli spauracchi dell’emergenza per occupare posti di potere.
Ora la dottrina che voleva la presenza del PD al governo ad ogni costo e con chiunque, che ci ha accompagnato da Monti a Draghi con l’idea che si dovesse fare questo sacrificio per il bene del Paese, ha mostrato tutti i suoi limiti, ha portato alla rovina il nostro partito e non ha salvato l’Italia.
Di quella parabola il nostro Partito si è fatto simbolo e teorizzatore: è per questo che oggi noi abbiamo difficoltà a farci ascoltare e ad essere credibili nei luoghi di lavoro, nei mercati, tra la popolazione: perché noi, nell’immaginario collettivo, siamo diventati quelli delle poltrone e quelli che si preoccupano più del sistema finanziario che dei pensionati e della gente comune.
E’ paradossale, ma noi siamo visti come i conservatori del sistema e Meloni e Salvini e Grillo e Conte sono quelli che lo vogliono cambiare radicalmente.
Noi, per molti elettori, siamo quelli dell’Europa della finanza mentre gli altri appaiono essere quelli che prendono la difesa dei popoli, o meglio dei popoli sovrani, cioè di quel vecchio nazionalismo destrorso che presto ci sfiderà e ci metterà in grave difficoltà sul tema del Presidenzialismo.
Non abbiamo molto tempo per attrezzarci a combattere e competere contro questa prospettiva e sicuramente non potremo farlo se saremo ancora guidati da una classe dirigente che ha chiaramente fallito.
Il PD fino ad oggi non è stato in grado né di esprimere una sufficiente capacità e vitalità né una caratterizzante politica innovativa, laica e progressista. L’immagine che ha offerto agli elettori è stata quella di una casta dedita alla conservazione di centri di potere.