Nessuno parlava più; così, dopo un paio di minuti, fui io a riprendere a parlare.
- Da allora sono passati cinque mesi. Marta l’avevo incontrata di nuovo. Io ovviamente avevo smesso subito di frequentare la palestra perché non volevo più vederla e perché vederla mi avrebbe certamente creato imbarazzo e sofferenza. L’ho rivista un paio di mesi fa in un bar che prendeva un caffè, ma io sono uscito subito facendo finta di non avrla vista e poi l’ho incontrata di nuovo in centro, sabato passato, verso le 17 e 30, era insieme ad un giovane uomo alto, massiccio, un quarantenne, direi. Ci siamo passati vicino perchè avanzavamo in direzioni opposte. Io guardavo avanti, convinto di poter sfilare via senza che si potesse creare alcuna situazione inopportuna. Ma non so cosa le sia preso perché quando mi è arrivata vicino si è aperta in un largo sorriso e mi ha detto a voce assai alta ciao paparino! Io ho tirato dritto per la mia strada, mentre l’accompagnatore di lei esplodeva in una grassa risata.
- Un brutto gesto. E certamente un brutto momento per lei, professore.
- Più che brutto, un gesto stupido e superficiale. Un tentativo banale di tirare una riga sul passato trattarmi con un vecchio amico, forse. Sicuramente è stato un comportamento che mi ha offeso, umiliato, insultato…
Mi misi a piangere dalla rabbia ripensando a quella scena e continuando a piangere ripresi il mio racconto.
- E’ in quel momento che ho deciso che Marta non poteva passarla liscia e che dovevo vendicarmi.
- Vendicarsi? Vendicarsi, professore? Cosa dice?
Ricordo bene che i tre poliziotti, quando smisi di parlare, avevano i volti più sconvolti del mio e pareva avessero stampati in fronte tre grandi punti interrogativi. Fissai negli occhi Severgnini e poi girando lentamente la testa fissai uno dopo l’altro gli occhi dei due agenti oltre il vetro: tutti e tre erano impalliditi, la realtà si stava forse palesando ai loro occhi. Adesso non ridevano più, apparivano allibiti, io sentivo le mie mascelle serrate di nuovo dalla rabbia, il mio volto doveva essere terribile da vedere in quel momento.
- Capirà bene, ispettore – dissi cercando di riprendere il controllo – che non sempre si può essere disposti a sopportare la cattiveria e la violenza degli altri. Ci sono situazioni nelle quali si può sentire il dovere di resistere, di reagire alle malvagità subite e di procedere con azioni compensative delle proprie amarezze e dimostrative nei confronti della massa che osserva.
- Cosa vuole dire?
Chiese ancora Servergnini con una voce che faceva trasparire la sua ansia.
- Voglio dire che dopo aver passato un brutto pomeriggio e un bruttissima notte, domenica mattina, mi sono deciso che avrei dovuto far capire a Marta che non si deve mai offendere la dignità delle persone e che non ci è concesso tutto, senza pagare pegno.
- Professore, la smetta di portarmi in giro con le sue storielle e con la sua dialettica! – sbottò Severgnini alzandosi in piedi di scatto e battendo i palmi delle sue mani sul piano della scrivania – Mi dica subito cosa avevava in mente! Mi dica cosa ha fatto! Lei è al commissariato di polizia, non ad una delle sue stupide conferenze tra intellettuali sfaccendati!
- So bene dove sono, ispettore. – risposi con calma – Le ricordo che sono venuto qui spontaneamente.
- Ora è venuto il momento di scoprire le carte e di rispondere alle domande.
Ero consapevole di aver tirato la corda, ma ero anche certo che mi stavo comportando secondo le mie esigenze e necessità. Il resto, adesso, non contava più, non contava più nulla.
- Ho frequentato abbastanza Marta da conoscere le sue abitudini, i suoi comportamenti e la sua maniera di pensare. Conosco molto bene anche la sua abitazione. In questi ultimi giorni ho pensato a lungo a quale fosse il modo migliore per poterle parlare, da soli, e avendo abbastanza tempo a disposizione tale da consentire una definitiva chiarificazione tra di noi.
- Non le bastava aver verificato nei fatti che lei non lo amava più. Che forse non lo aveva mai amato e che comunque aveva maturato così tanto disprezzo o rancore nei suoi confronti da portarla ad irrederla in pubblico? Non era sufficente questo per evitare un ulteriore confronto?
Scossi ripetutamente la testa.
- Evidentemente no! – la voce mi era uscita stridula – Io volevo parlarle, io volevo capire, io volevo risposte! Non è possibile che tutto quello che c’è stato tra noi sia improvvisamente finito, non è possibile che tutto quello che ci samo dati sia stato falso o strumentale, che sia stato un inganno. Dovevo sapere, dovevo conoscere i motivi veri della sua trasformazione da dea a demonio. E questo potevo farlo soltanto costringndola ad ascoltarmi.
Ricordo che mi presi la testa tra le mani e non riuscii più a trattenere le lacrime e i lamenti. Ero spossato, avevo il peso della notte trascorsa che mi gravava terribilmente sul fisico e che mi ossessionava la mente.
Severgnini si alzò per uscire
- Si calmi – mi disse – vado a prenderle un poco di acqua. Torno subito.
Rientrò dopo pochi minuti con due bottigline di acqua.
- Le farà bene.
Io avevo smesso di piangere.
- Devo andare al bagno.
Dissi.
L’ispettore si rivolse al collega oltre il vetro.
- Berardi – disse – venga di qua e accompagni il professore al bagno.
Fine Parte Settima – Continua
In copertina: Vassily Kandinsky, Tratto Continuo – 1923 – olio su tela. Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen, Dusseldorf