I
Martedì mattina, ore dieci circa.
Primavera.
Sole tiepido,
aria fresca.
Rondini nel cielo sereno.
Profumo di piante in fiore.
Parco cittadino,
viale alberato.
Sandro Marini,
trent’anni,
laurea in lettere,
sposato con Anna,
impiegato alla Libreria Centrale,
oggi in libertà per il giorno di chiusura,
passeggia
con il cane al guinzaglio
e un pacco di giornali,
sotto il braccio.
Alla sua sinistra, a quattro, cinque metri di distanza, la via provinciale gettava rumori di motori sfreccianti; alla sua destra scendeva, docilmente, l’argine del torrente: largo una decina di metri, poca acqua, molti ciottoli.
Di là dal fiume, sull’altra sponda, la lenta risalita si concludeva contro i muretti di recinzione di alcune ville costruite alla fine degli anni sessanta nel momento di massima espansione della cittadina: grandi, ben tenute, con giardini molto curati, edificate appena fuori dell’antico abitato, subito prima dell’aperta campagna rappresentavano il feudo e la manifestazione di ricchezza della borghesia emergente ed erano il frutto di una complicata e poco limpida invenzione urbanistica.
Sandro si abbassò sul collo del cane, per liberarlo dal guinzaglio.
Bull, il cane: un giovane bastardone biondo a pelo raso, di grossa taglia, non perse un attimo e staccò una irresistibile corsa sullo sterrato ricamando l’aria di balzi e improvvise frenate.
Ora il viale si infilava in un piccolo e rado boschetto: sentieri, panchine, una fontana centrale con vasca e puttini felici in marmo.
Sandro infilò un vialetto, per lui abituale, che si snodava parallelo al corso del torrente. Percorso un altro centinaio di metri, giunti ad un piccolo slargo, l’uomo e il cane si fermarono alla loro panchina preferita: baciata dal sole, affacciata sull’argine e con la vista, di là dal fiume, del centro cittadino collegato al parco da una slanciata passerella pedonale, in legno.
L’acqua si incastrava e si liberava tra i sassi, ruzzolava e cantava, saltava e scivolava con consueta armonia; Sandro si mise a sedere e aprì il giornale, il cane si accucciò docile ai suoi piedi.
Sandro leggeva con superficiale attenzione, con distacco notizie che, da anni, sembravano sempre le stesse: storie di Governi in bilico, di rivendicazioni corporative, di stupri in famiglia, di raptus omicidi.
Commentava, tra sé, scuotendo la testa e borbottando.
Anna, sua moglie, lo prendeva spesso in giro, quando lo vedeva fare così:
“Sembri un vecchietto irascibile .” diceva.
Anna insegnava alla Scuola Media di un paese vicino, coetanea di Sandro, era rimasta, al contrario di lui, sempre molto attenta alle questioni sociali, fiduciosa nella possibilità di migliorare la società e certa che ogni singolo cittadino, con il proprio impegno, avrebbe potuto dare un contributo importante.
Era puntigliosa e determinata, non mediava, non era disponibile a compromessi, aveva la capacità di resistere a discussioni interminabili pur di convincere gli interlocutori.
Era perfino spigolosa, quando doveva affermare le proprie ragioni, ma Sandro la sentiva dolcissima, nei rapporti umani: disponibile e solidale.
Tenera e intransigente al tempo stesso.
Sandro chiuse il giornale e se l’appoggiò sulle gambe.
Intorno a lui le piante di alloro erano già in fiore, fresche e profumate, appena mosse, nelle fronde, da una delicata brezza mattutina.
Un roditore, sul ramo più alto di un noce, dava uno spettacolo da giocoliere con piccoli scatti e balzi improvvisi e pause eterne…
“Che pace!” esclamò Sandro.
Il cane alzò la testa e lanciò uno sguardo di commiserazione al padrone, poi si rinfilò il muso tra le zampe anteriori abbandonandosi, di nuovo, ai raggi tiepidi del sole.
Sandro intrecciò le dita delle mani dietro la nuca, chiuse gli occhi, sbuffò piano, allungò le gambe e restò così, immobile, per qualche minuto, respirando piano.
Il giornale gli scivolò lentamente dalle gambe e cadde a terra, vicino al cane.
Bull non si mosse, Sandro nemmeno: la primavera li aveva avvolti, ovattati e si era impossessata dei loro sensi.
Poco dopo passò a corsa, dietro a loro, una squadra di ragazzi in tuta da ginnastica: erano studenti dell’istituto professionale:
“E’ bella la vita! – gridarono – Al lavoro! Al lavoro!” e giù risate e urla.
Sandro si tirò su, strusciandosi gli occhi, e aveva il cuore che batteva a mille.
Bull balzò in piedi e cominciò ad abbaiare.
“Stai qui!” ordinò Sandro e il cane si diresse, impassibile, verso il fiume: prima lentamente, poi a corsa finché non si tuffò in una bozza d’acqua fresca e si mise a fare il bagno.
Sandro tirò un po’ di sassi a destra e a sinistra per far correre il cane.
Dopo poco guardò l’orologio:
“Ehi Bull! – gridò – è quasi ora di andare a fare la spesa e di preparare il pranzo: Anna torna a casa verso l’una e trenta.”
Il cane, con le zampe nel fiume, si voltò a guardarlo: aveva la bocca aperta e la lingua di fuori, grondante d’acqua.
Sembrava felice.
“Va bene – gli disse Sandro – ci concediamo ancora qualche minuto.”
Raccolse il giornale da terra, lo scosse e si mise, seduto sul bordo della spalliera della panchina, a guardare il cane che giocava nell’acqua.
Dall’altra parte del torrente giungevano i rumori del paese: il centro abitato, l’antico agglomerato di palazzotti del sette e ottocento, era praticamente di faccia alla panchina sulla quale si trovava Sandro, ad una distanza di non più di trenta metri.
Erano palazzotti a due, tre piani con fondi e negozi, al pianterreno, che si affacciavano sulle strade, lungo il corso del fiume o intorno alla grande chiesa romanica, alla vecchia piazza del mercato e al palazzo del Gonfaloniere, oggi sede Municipale.
Portali e architravi in marmo con stemmi ed emblemi di antichi casati; archi e loggiati; giardini interni e cortili; bassorilievi e rifiniture varie distinguevano, dagli altri, i tre o quattro edifici più importanti ed erano ricordati, nel paese, con il nome delle famiglie che ne erano state proprietarie nel corso dell’ottocento: palazzo Rastelli, palazzo Sarti e così via.
Ora le proprietà erano quasi tutte frazionate in appartamenti, miniappartamenti, uffici, attività commerciali, fondi… e spesso cambiavano padrone e destinazione d’uso.
Bull si scosse vigorosamente l’acqua da dosso, risalì a corsa il pendio dell’argine e prese a ruzzolarsi nell’erba.
Passò un uomo: un pensionato arzillo, in bicicletta, che si fermò a salutare Sandro con tono cordiale:
“Finalmente è arrivata la primavera! – disse – Così ho rimesso subito fuori la bici: bisogna tenersi in forma alla mia età.”
“Eh, ne avrei bisogno anch’io – rispose Sandro – ma sono troppo pigro.”
“Ci vuole volontà, ragazzo – lo rimproverò l’uomo che già ripartiva spingendo sui pedali – senza volontà non si va da nessuna parte.”
Dopo un cenno di saluto l’uomo si rialzò sui pedali e, in un attimo, sparì dietro agli alberi.
Sandro aveva riaperto il giornale, alla pagina della cronaca provinciale:
“Senti qua Bull – esclamò – Cane salva il padrone caduto in montagna – E’ corso a chiedere aiuto in paese – Ha guidato i soccorritori dal ferito…”
Sandro lesse tutto l’articolo ad alta voce, con soddisfazione, con avidità, come fosse un racconto di Jack London.
Alla fine guardò il cane, che lo aveva ascoltato con la solita aria costernata:
“Siete forti voi cani – disse – l’ho sempre detto: siete forti – ripeté accarezzando, con entusiasmo, al collo il bestione – anche te mi avresti salvato, vero?”
Bull, ora, sbavava felice, Sandro si rialzò, alzò lo sguardo e vide.
Vide, nel silenzio più completo, di là dal fiume, una sagoma scura che cadeva giù da una finestra: un’ombra cinese, muta, a precipizio, riflessa sulla facciata della casa.
Una ics formata da gambe e braccia spalancate che andò a sparire dietro l’argine del fiume.
Un goffo tonfo spense l’attimo.
Fine Capitolo I – continua