La salita verso la cima del monte fu, per i due ragazzi, faticosa, ma veloce.
Quando giunsero al punto stabilito per l’incontro gli altri, che erano arrivati già da un po’, li trattarono, per qualche minuto, con distacco e sufficienza.
Beppino e Mario stavano piazzando la mitragliatrice al riparo, dietro una grande roccia, ma in modo che potesse avere sotto tiro tutta la vallata del torrente e la collina di fronte con il piccolo villaggio che stava a mezza costa.
Fraschetta era salito sull’albero più alto e seduto tra le fronde sulla biforcazione di due robusti rami guardava attentamente, con un binocolo americano, per trovare un bersaglio interessante.
Il fratello di Beppino stava prendendo a sassate un elmetto tedesco che aveva scoperto ad una decina di metri di distanza.
Pietro non faceva niente.
Pietro era detto il Silenzioso perché non parlava mai: non che non avesse l’uso della parola o che non ne capisse il significato perché, quando era interrogato o quando doveva dire qualcosa di veramente importante, parlava.
Magari diceva poche parole, ma le diceva.
Il fatto era che gli sembrava superfluo, inutile dire cose normali, comuni e così preferiva star zitto.
Pietro era capace di restare in silenzio anche per giorni interi, anche per più giorni di seguito.
Era fatto così e non c’era possibilità di farlo cambiare.
In compenso era quasi sempre sorridente e di buon umore e i suoi amici gli volevano bene per questo: perché senza dir niente metteva allegria.
Romano e Pallino si avvicinarono con grande curiosità alla mitragliatrice che, ingrassata e lucida, brillava di riflessi solari.
“Prendete un po’ di frasche – comandò Beppino – che la copriamo. Ci fossero dei nemici di fronte ci avrebbero già visto.”
Gigi e Pallino scattarono e sparirono nella boscaglia e, dopo pochi attimi, furono di ritorno portando due rami, ricchi di foglie, che sembravano fatti apposta per l’uso militare.
“Siamo pronti!”
Esclamò Mario facendo scattare la sicura e armando la mitragliatrice.
Beppino alzò lo sguardo verso Fraschetta che, la sigaretta accesa e penzoloni all’angolo della bocca, continuava a perlustrare la collina di fronte.
Ci fu una breve, silenziosissima, attesa poi Fraschetta allungò il braccio destro, stese l’indice e indicò:
“Laggiù, a destra dei lavatoi di Giustagnana: quell’albero quasi isolato; guardate com’è rosso! Dev’essere carico di ciliege mature. Proviamo a spettinarlo.”
“Ma, no! – protestò Pallino mettendosi le mani tra i capelli – Le ciliege no!”
“Sta zitto! – urlò Beppino – Se quello è il nemico lo dobbiamo far fuori. Spara Mario. Spara!”
Mario tirò fuori dalla tasca una sigaretta, l’accese con un fiammifero scrocchiato sopra una pietra e, poi, con aria cattiva e determinata, abbracciò l’arma e aprì il fuoco.
Per qualche secondo ci fu un crepitio terribile e assordante che rimbombò a lungo per tutta la vallata.
Di fronte, sulla collina immersa nel silenzio e nel sole, a una trentina di metri di distanza dall’obbiettivo puntato, si alzarono diverse nuvolette di polvere e terra.
Mario si massaggiò le braccia, lamentandosi:
“Ha un rinculo che strappa i muscoli.”
“Aggiusta la mira pappamolle.”
Provocò dall’alto Fraschetta che per estremo segno di disprezzo gettò la cicca della sigaretta sulla testa del mitragliere.
Mario scattò in piedi:
“Vieni giù che ti spacco i denti!”
Minacciò Mario alzando i pugni.
Fraschetta rise e si rimise a guardare con il binocolo:
“C’è gente in paese. Son saltati fuori a vedere che succede. – gridò – Spara, spara che ci si diverte!”
Mario si grattò con ostentata volgarità il pube, si rimise in posizione e sparò, sparò, sparò avvicinando sempre di più i colpi al povero ciliegio finché non riuscì a coglierlo in pieno distruggendogli fronde e frutti.
I ragazzi gridavano selvaggiamente, pieni di gioia per aver fatto centro, sfogando il loro ardore giovanile.
I profumi del bosco li rendevano eccitati e il calore della giornata, infuocata dal sole, li riempiva di maggiore energia.
“Colpito! Colpito!”
Urlavano, pieni di entusiasmo.
Fine seconda parte – continua