In cinque minuti Otello fu di nuovo alla pensione.
Era buio e fuori non c’era neanche una luce accesa.
Entrò con l’auto a bassa velocità nel piazzale della pensione finché i fari della sua auto non illuminarono il furgone di Angelo parcheggiato davanti alla porta d’ingresso.
Otello ebbe un tuffo al cuore, ebbe paura.
Ebbe la tentazione di scappare a chiamare aiuto, sentì in bocca e nel naso il sapore della tragedia.
Cercò di riprendere lucidità, respirò profondamente e scese dall’auto, entrò dalla porta principale.
Vide sulla soglia della cucina, spaventate, le due cameriere.
“Corri di sopra, in ufficio. – disse la più giovane – Lui è come impazzito. È tutto stravolto e sudato. Urla come un pazzo. Ho paura per Sandra.”
“Non vi preoccupate, vado su io.”
Disse Otello, ma la voce gli uscì appena.
Sali per le scale, al buio, cercando di non fare rumore.
Quando fu sulla rampa tra il primo e il secondo piano sentì Sandra che gridava.
“Basta, non ne posso più! Vattene.”
Otello corse e mancò un gradino, inciampò, cadde battendo un ginocchio sullo spigolo di marmo.
Sentì un dolore tremendo, si rialzò e arrivò di volata alla porta dell’ufficio.
“Dammi i miei soldi o ti ammazzo!”
Gridò Angelo.
Otello girò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave da dentro.
“Lasciami!”
Gridò Sandra con dolore.
Otello sfondò la porta con un calcio.
Vide Angelo che stava stringendo la donna alla gola, lei piangeva, ma non sembrava opporre resistenza, sembrava rassegnata, addolorata.
“Fermati! Sei in arresto!”
Gridò Otello e si piegò sulle ginocchia per prendere la sua pistola dalla caviglia.
Rimase con un ginocchio a terra e l’altro piegato, le due braccia tese in avanti, le due mani strette sulla pistola.
Ripetè: “Fermo o sparo!”
Angelo scaraventò a terra Sandra con disprezzo e si girò verso Otello: il suo volto era una maschera mostruosa di rabbia e dolore, contratta, sudata.
Aveva gli occhi sbarrati e arrossati le labbra tese; le narici allargate.
“Mi spari? – sbuffò – e spara, bastardo.”
L’uomo impugnò una sedia per lo schienale e si avventò, con passi decisi, contro Otello.
Il giovane contrasse le le mani sudate sulla pistola. sentiva le sue dita paralizzate e i polsi che tremavano.
La sua volontà era bloccata, incerta, incapace di scelta.
“Non sparare!”
Implorò Sandra.
“Spara, bastardo!”
Gridò ancora Angelo.
“Come faccio a sparare: una pistola contro una sedia.”
Pensò Otello.
Angelo, dopo un istante, gli fu addosso e gli fracassò la sedia sulla testa.
Otello si piegò in avanti lasciando cadere la pistola, si appoggiò sui gomiti a terra.
L’altro lo stese con un calcio nella pancia.
Otello senti come una scarica elettrica passargli, velocissima, per tutto il corpo.
Fece appena in tempo a vedere la figura di Angelo che lo scavalcava e usciva di corsa dalla stanza, poi il pavimento cominciò a girare fortissimo sotto di lui .
Si afflosciò, svenuto.
Due giorni dopo, all’ospedale, il commissario Lattanzi, seduto al capezzale del letto di Otello. sorrideva con aria sconsolata.
“Buongiorno, commissario – disse faticosamente Otello mettendosi a sedere con la schiena appoggiata al cuscino – non mi sembra vero di essere ancora vivo.”
“Hai fatto un buon lavoro …”
“Mi prende in giro?”
“No, hai dimostrato attenzione, intuito e anche una buona dose di coraggio.”
“Coraggio?”.
“Si. coraggio. Sai, al mondo d’oggi ci vuole molto più coraggio a non sparare e a subirne le conseguenze che non a premere il grilletto …”
“Grazie”
Disse rincuorato Otello.
“Comunque – riprese Lattanzi mettendo in bocca una sigaretta spenta – temo che dovremo fare molte chiacchierate insieme e dovremo lavorare molto duro per fare di te un poliziotto appena accettabile, perché l’altra sera ti sei comportato come un cretino.”
“Non mi deprima commissario, sto male.”
“Posso fumare?”
Chiese con aria infantile Nicola.
“Per me non ci sono problemi, ma non so se è consentito…”
“Che m’importa – disse il commissario accendendosi la sigaretta e respirandola, come sempre, con soddisfazione – Non ti sto prendendo in giro e, ora, non sto scherzando. Sei uno stupido, incosciente. Sei salvo solo perché hai la testa dura e perché sei fortunato ad aver avuto a che fare con un povero balordo e non con un vero assassino.”
“Come, non è Angelo che …”
Chiese con tono deluso Otello.
“No, non è stato lui ad ammazzare Susanna. Comunque, non ti preoccupare: dopo quello che ha fatto a te e a Sandra un po’ di galera se la farà lo stesso.”
“L’avete preso?”
“Un minuto dopo che ti ha spaccato la testa: stavo salendo le scale e mi si è buttato tra le braccia – gongolò Nicola – che tempismo, eh?”.
“Ma, a dire la verità sarebbe stato meglio se fosse arrivato cinque minuti prima.”
Si rammaricò Otello.
“Io spero, invece, che il mio ritardo sia servito a insegnarti qualcosa: non concedere mai troppo tempo al tuo nemico, appena puoi stendilo e non ti perdere in chiachiere o strane elucubrazioni. Non era necessario fare una strage: bastava una pallottola in un piede e tutto si sarebbe risolto.”
“Già, se ci avessi pensato – subì Otello – e del delitto cosa si sa?”
“Quella è una storia lunga, che ci porterà molto lontano, nel profondo sud, nella mia meravigliosa terra, dai parenti mafiosi di un giovanotto. Non volevano che il loro rampollo venisse corrotto dalle idee rivoluzionarie di una puttanella istruita: queste sono le testuali parole che ci sono state soffiate nell’orecchio.”
“Per questo l’hanno ammazzata?”
“Credo proprio di sì. L’hanno seguita, forse per giorni, e poi hanno scelto il momento giusto per farlo: uno dentro la pensione (magari era con te a vedere la televisione ) e gli altri fuori. Al momento giusto hanno fatto il lavoro e sono spariti. Professionisti, te l’avevo detto. Ora il problema è di trovarli e dimostrare, in tribunale, che i fatti sono andati così: chissà se ce la faremo mai.”
Concluse rassegnato il commissario.
“Povera ragazza.”
Disse Otello.
Bussarono alla porta.
“Avanti”
Disse Lattanzi.
Era Sandra, aveva un pacchetto in mano, un livido all’occhio sinistro e dei graffi alla gola.
Il commissario si alzò, salutò con galanteria la donna e si congedò.
“Ci sentiamo, giovane leone. E per il futuro cerca di avere meno coraggio e più cervello. Ciao.”
“Arrivederci commissario e grazie.”
Sandra era impacciata e commossa.
Si avvicinò al letto, accarezzò le mani al giovane e lo baciò sulla guancia.
“Ti ho portato questi”
Disse timidamente.
Otello scartò il pacchetto.
“Splendido: dei cioccolatini! – disse aprendo subito la scatola – Prendine uno anche tu.”
Sandra ne scelse uno al cuore di nocciola.
“Mi volevo anche scusare…”
Disse lei.
“Non ti devi scusare…”
“Sì, è per causa mia che… sì, insomma, io ti ho detto di non sparare.”
“Non sono stato capace, e forse è andata bene cosi. Ma tu non puoi, non devi più stare dietro a gente così. Come è possibile, una come te… Non è possibile…”
“Non devi fare il moralista. – disse lei risentita – A volte non sono le persone che scelgono quello che possono o devono fare. Vedi, la vita è cattiva. La vita è difficile e assurda. La vita è strana. La vita ti inganna. Spesso tutto va a rovescio di come pensavi, di come volevi. A volte la tua mente non fa quello che la tua volontà decide. Non so, io non ti posso spiegare; lui, per me è come se, improvvisamente, si fosse ammalato. Si, è così. Se si fosse ammalato il suo corpo l’avrei curato e coccolato e nessuno avrebbe trovato niente da dire. Ecco, invece del suo corpo si è ammalata la sua mente e io sono l’unica che può stargli vicino: io devo aiutarlo e curarlo perché l’ho amato tanto e lui ha amato tanto me. E io spero che ci ameremo ancora …”
Sandra era stanca, addolorata, ma bella; sembrava ispirata da una grandissima forza interiore.
“Ma lui ti ha fatto del male, ti ha fatto solo tanto male”
Protestò Otello.
Lei sorrise con dolcezza.
“No, non mi ha fatto solo male. E, comunque, lui è la mia vita, niente di più: solo la mia povera vita.”
Otello si passò, pensieroso, le mani tra i capelli.
“Oh mio Dio – sospirò – ma che ne so io della vita?”
Fine