Otello l’aveva guardata uscire e sparire nel buio oltre la porta trattenendo la tentazione di chiamarla e, ancor più, quella di seguirla. Aveva nel naso il profumo che la ragazza gli aveva sciorinato addosso passandogli vicino e che lo aveva inebriato più dei due bicchieri di grappa. Restò ancora per un attimo a guardare il vano vuoto e buio della porta, poi si rivolse, arrabbiato, all’ingegnere:
“Evidentemente non sono l’età e il curriculum a darci la ragione e, tanto meno, l’educazione.”
“Non perdere la calma, ragazzo – lo redarguì Sergio – e anche tu cerca di imparare qualcosa da chi ha più anni di te. Bevi meno e con più attenzione, assapora quello che ti capita e usa sempre il cervello e mai solo il sentimento: ti troverai meglio. Quanto al discorso che stavamo facendo con la signorina io ho solo cercato di spiegarvi che chi ha la forza e il potere ha sempre ragione. Non esiste una ragione morale. La ragione che cercate voi, quella assoluta, quella etica, non è di questa terra: quella è solo un’invenzione del preti, dei filosofi e dei politici, che se ne servono per tenersi i loro privilegi e il comando a danno dei poveri imbecilli che credono alle loro buffonate.”
“Se la pensa così – disse Alvaro – per lei la democrazia non ha nessun significato.”
“No, affatto – ribattè Sergio – sono le ideologie che non hanno significato. La democrazia, al contrario, serve, eccome, perché ci consente di scegliere tra chi è onesto e chi no, tra chi sa governare e chi no; e non tra vecchie invenzioni fasulle come la destra e la sinistra …”
“Come banalità? – lo interruppe l’operaio come destandosi, improvvisamente, dal letargo – Se governa la sinistra vengono fatti i miei interessi che sono un lavoratore; se governa la destra si faranno gli interessi dei ricchi, del padroni, degli ingegneri e di tutti quelli che non pagano le tasse.”
“Ma non dica fesserie! – riprese acido Sergio – Un governo fatto da gente onesta e capace, di destra o di sinistra che sia, fa comunque gli interessi complessivi del Paese: tanto dei padroni, come li chiama le, quanto degli operai. E un governo formato da disonesti o, peggio ancora, incapaci, di destra o sinistra che siano, danneggerà tutti e affosserà, ancor più, il Paese.”
“Mi sembra che sia lei, caro ingegnere, a credere alle favole belle”
Sorrise Alvaro.
“Prego?”
“Sì, mi pare che lei interpreti la politica come una cosa fatta dagli angeli, senza sesso.”
“Non la capisco.”
“Le spiego. Non ci sono provvedimenti governativi buoni per tutti. Chi governa deve scegliere, ad esempio, se
affidare più soldi al sistema sanitario o al ministero della Difesa, ai Lavori pubblici o alla Ricerca scientifica; se aumentare le tasse ai lavoratori dipendenti o agli autonomi, se assumere o licenziare dipendenti pubblici; in altre parole a quale modello sociale ispirarsi nel suo operato. In questo sta la differenza tra sinistra e destra.”
“Cosa avete fatto a quella ragazza? – chiese da dietro la luce della torcia elettrica Sandra – L’ho ripresa nel parcheggio, sotto l’acqua. Voleva rimettersi in viaggio con questo tempo. Le ho dovuto dare la mia carnera per convincerla a restare.”
“Così quella che vuol fare i sacrifici per gli altri – ironizzò Sergio – con una bella scenetta si è trovata un comodo letto. Ha un futuro in politica.”
“Non sia così cinico – si arrabbiò Alma – quella ragazza era sfinita.”
“Intanto io sono rimasta senza letto – riprese Sandra -. Vi prego, se volete restare non createmi altri problemi; quelli che ho mi bastano e avanzano.”
“Ci scusi signora, lei ha già fatto molto per noi.”
Si scusò Mario.
“Va bene, va bene, tanto non riesco a fare la cattiva. Ah, a proposito, se qualcuno mi dà una mano vado a prendervi qualche coperta per la notte”.
Otello si alzò: “Vengo io, signora”.
“Sandra, mi chiami col mio nome. – precisò lei – Non sono signora, semmai signorina.”
“Mi scusi”
Disse Otello sentendosi arrossire.
Uscirono guidati dal piccolo fascio di luce; salirono due rampe di scale. Tutto era in silenzio. Al primo piano c’erano quattro o cinque camere; al secondo ce n’erano due e, dietro una porta a vetri con la scritta “Privato”, c’era un corridoio con un grande armadio a muro.
“Non faccia rumore – ordinò Sandra indicando una porta – quella è la mia camera e non vorrei disturbare Susanna.”
All’altro capo del corridoio c’era un’altra porta:
“Lì c’è il mio ufficio.”
Concluse Sandra.
Presero dei plaid dall’armadio e scesero.
“Al primo piano, sulla destra c’è un bagno che potete utilizzare. Lo dica anche agli altri.”
“Si, grazie.”
Quando rientrarono nella stanza del televisore Otello osservò, sul tavolo, la bottiglia della grappa quasi vuota e si rese conto che la discussione era ormai quasi completamente soffocata dalla stanchezza generale.
“Meno male – pensò – non se ne poteva più!”
Le candele erano consumate oltre la metà e la luce della lampada al neon aveva perso parecchia della sua potenza. La stanza era in penombra. Mario e il robusto operaio si riempirono ancora il bicchiere mentre l’ingegnere fumava un’altra sigaretta, con le gambe accavallate, girato quasi su un fianco, non dissimulava il suo fastidio nei confronti degli altri.
Otello distribuì le coperte.
Era passata la mezzanotte e la tempesta infuriava ancora con tutta la sua forza.
Sandra entrò per dare la buonanotte e per lasciare sul tavolo una torcia elettrica.
“Vi servirà per trovare il bagno – disse – Domattina, se avremo ancora un tetto sulla testa, io comincerò a far rumore verso le sei e trenta per preparare le colazioni, nella sala qui accanto. Per ogni evenienza, stanotte, io sarò in una stanzetta dietro alla ricezione, a dormire in poltrona come voi. Buonanotte.”
Presto vennero spente le candele e la lampada e, a turno, gli ospiti cominciarono ad andare al bagno. Quando toccò ad Otello era quasi l’una; al suo ritorno dormivano già tutti tranne il giovanotto con i baffi che ancora aspettava di poter recarsi al bagno e che aveva ingannato l’attesa scolandosi la bottiglia di grappa.
Otello gli passò la torcia e si sistemò sulla poltrona coprendosi come meglio poteva.
Il boato dei tuoni era ora più lontano, ma la pioggia sferzava sempre con violenza e il fischio del vento, nel buio e nel silenzio, era ancora più lugubre e fastidioso.
Sembrava un lamento disperato e senza fine, un lamento per un dolore immenso e incancellabile.
Prendeva al cervello.
Qualcuno, tra i presenti, stava sicuramente dormendo con la testa piegata all’Indietro e la bocca aperta e sibilava con ritmo lento e intermittente. Otello, nel nero, non riusciva a capire chi fosse; si concentrava per indovinare da chi provenisse quel rumore, ma la nebbia della stanchezza e del sonno gli stava invadendo la gli occhi stanchi e i suoi sensi cedevano.
Si lasciò trasportare dal rapido sonno e si trovò trasportato in un’altra dimensione, con la mente vigile e attiva che liberava pensieri e sensazioni accavallandoli e sfumandoli senza il controllo della sfera razionale.
Otello, di nuovo, come un tempo, si ritrovò per mano a Laura a passeggiare sul mare.
La stringeva a sé e la baciava cento e cento volte.
Insieme salivano sul motorino e, adolescenti e felici, andavano incontro alla primavera.
Improvvisamente Otello fermò il motorino, si girò e vide Laura che piangeva.
Lui, con le mani, voleva asciugarle il pianto, ma non riusciva a toccarla e voleva parlare e spiegarle le sue idee, i suoi progetti, ma la gola era bloccata e le parole non uscivano. Voleva parlarle e soffocava, lei ancora piangeva, in silenzio
E la gola di lui era paralizzata.
Provò a gridare, ma senti solo un rantolo animale muggirgli dentro al petto.
Cadde a terra, mugulando per la sofferenza, e si svegliò.
In quell’attimo si riaccese il televisore.
Otello si rialzò, con uno scatto, da terra era tutto sudato e sconvolto.
Si guardò in giro, nella saletta illuminata dal televisore: tutti dormivano, tranne l’ingegnere, che lo guardava con un sorriso ironico.
“Ho il sonno leggero – disse – la televisione ha svegliato anche me.”
Poi, indicando il posto ancora vuoto dell’operaio:
“Non è ancora tornato – osservò – evidentemente ha più cose da dire con l’intestino che non con la bocca.”
Otello istintivamente guardò l’orologio: erano le due e dieci.
“È meglio che la spegniamo – disse indicando la televisione – altrimenti si svegliano anche gli altri.”
L’ingegnere non rispose e non mosse un dito.
Otello si alzò faticosamente, prese il telecomando, spense la televisione, tornò indietro, si arrotolò sulla poltrona e si schiantò di nuovo addormentato.
Fine parte quarta – continua –