“A questo punto non ci resta che chiacchierare e fare conoscenza – disse, con tono cordiale, l’uomo grasso – tanto temo che stanotte dormiremo poco e male. Io mi chiamo Mario. A casa ho una bella enoteca; quando è iniziata la bufera stavo tornando da una visita a una fattoria: ho acquistato una partita di un bianco friulano, molto aromatico, buono. Nel suo genere una vera delizia.”
“E’ un lavoro molto interessante il suo!”
Esclamò l’uomo sulla cinquantina.
“Bisogna avere molta pazienza e attenzione, tanto amore per le cose buone e tanto buon gusto.” precisò Mario.
“Come per tutte le cose. – disse l’uomo in giacca e cravatta – Se si vuole riuscire bene ci vogliono costanza, applicazione e voglia di lavorare”.
“Ci vuole passione – precisò Mario -. La mia fortuna è che faccio un lavoro al quale ci si appassiona facilmente. Ma che stupido! In macchina ho una bottiglia di una grappa stupenda che può darci una mano a passare bene la nottata. Datemi un minuto e ve la porto”.
“Ma non si disturbi.” disse l’uomo elegante.
“Non è affatto un disturbo – insistè Mario – io la bevo con piacere.”
“Anch’io, allora, l’assaggio volentieri!” approvò soddisfatto l’uomo sul divano di fronte a Otello.
Mario aveva mani tozze e grasse. Le sue dita si mossero lentamente per prendere una candela. Usci dondolandosi sulle gambe.
Ci fu qualche minuto di silenzio. Si sentivano, fuori, il vento infuriare e la pioggia che continuava a battere con violenza; il cielo brontolava e gettava boati minacciosi nell’aria. Mario rientrò tutto bagnato, ma soddisfatto, con la candela in una mano e nell’altra, sopra un vassoio, la sua bottiglia di grappa e dei bicchierini da liquore.
“Forza, su col morale – esclamò – in fondo siamo tutti sani e salvi e al sicuro!”
“In effetti oggi ci sarebbe potuta andare anche peggio” convenne l’uomo che, per primo, aveva accettato l’offerta di Mario. “Io mi chiamo Alvaro – disse alzandosi appena dal divano e accennando un buffo inchino – sto andando, con mia moglie Alma, a trovare mio figlio. Il nostro ragazzo sta facendo il servizio di leva e ci copre di telefonate: si lamenta come un bambino. Sapete come sono i ragazzi.”
“Oh, non è che abbia tutti 1 torti – intervenne Otello -: il servizio militare non è un gran divertimento. Sarà che lo l’ho fatto un po’ tardi, l’ho rimandato e rimandato, con la scusa dell’università … Tra poco diventavo come Sordi nel film di prima, cosi ho abbandonato tutto a metà, ho fatto il soldato e, poi, mi sono messo a lavorare.”
“E’ un peccato che tu non abbia finito di studiare- disse Alvaro – si perde sempre qualcosa non avendo un titolo”.
“Se è per questo, io con la storia dell’università, del militare e del lavoro che mi sono trovato ci ho perso anche la ragazza.”
“Non ci pensare, giovanotto disse Mario bevi questa grappa e vedrai che la fidanzata te la scordi. Sai quante belle signorine ci sono al mondo!” e si mise a versare grappa a tutti.
“No, per me no, grazie – disse la ragazza -. Se non disturbo, mi accenderei una sigaretta”.
“Prego” disse l’uomo con la cravatta, mentre assaggiava la grappa.
La ragazza tirò fuori dalla borsetta le sigarette, ne prese una e, appoggiò sul tavolo l’intero pacchetto: “Chi ne vuole si serva pure” disse. Mise la sigaretta in bocca a si avvicinò alla candela per accenderla. Otello poté vederla bene in viso: il naso affilato e delicato, gli occhi gialloverdi e i capelli chiari e lisci che la mano sinistra teneva dietro la nuca per non farli bruciare.
Lei tirava, lentamente, la sigaretta e guardava fisso negli occhi l’uomo con la cravatta, che per la prima volta quella sera si mostrò cordiale: “Grazie, signorina, io ne prendo una. Sono l’ingegner Sergio Bonessi – disse alzandosi a prendere una sigaretta dal pacchetto della ragazza – sto andando a effettuare una perizia su un ponte che ha creato parecchi conflitti per i calcoli sulla sua portata e stabilità. E’ già un po’ di tempo che dovevo andarci e ho sempre rimandato: evidentemente mi sono deciso nel giorno più sbagliato. E lei, signorina, che ci fa in giro con questo tempo?”.
La ragazza era rimasta piegata in avanti, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Tolse la sigaretta di bocca lasciando uscire un po’ di fumo.
La luce oscillante delle candele rendeva le immagini vaghe, inconsistenti, sfuggenti.
Otello immaginò l’arco convesso della schiena della ragazza, ne intuì la carica elastica e armonica dei fianchi.
Lei sorrideva, sfidando l’uomo maturo, guardandolo da dietro l’esile fumo della sigaretta:
“Sto tornando a casa dai miei genitori. Questo pomeriggio ho sostenuto un esame all’università, un esame di letteratura italiana, sul Boccaccio. Io sono stata più bravina del povero Sordi – disse girando lo sguardo verso Otello, che si sentì preso in giro, e, poi di nuovo si rivolse all’ingegnere – L’unica sfortuna è stata che mi hanno interrogata per ultima. Ho finito che erano le sette di sera; son partita che erano quasi le otto. Il mio ragazzo non voleva lasciarmi andare, ma lui è un calabrese apprensivo, così l’ho preso un po’ in giro e mi sono messa in viaggio. Sinceramente, a quell’ora non sembrava che dovesse accadere tutto questo disastro.”
“Il suo ragazzo starà in pena per lei – intervenne la signora Alma, che stava entrando con in mano un vassoio carico di tazze e tazzine fumanti – L’ha avvisato?”
“Si, si gli ho già telefonato. Si figuri, ha voluto sapere tutto: dove mi trovo, con chi sono, il nome della pensione, tutto.”
“E i suoi genitori?” insistette Alma.
“Loro non sanno che sono in viaggio. Ho detto che sono a dormire da un’amica. Contavo di far loro una bella sorpresa”.
“Dei figli non ci si può mai fidare – sbottò Alma posando il vassoio sul mobiletto -. Comunque, forse in questo caso è meglio così.”
Concluse e cominciò a distribuire tè e caffè a tutti.
“Non ci ha detto il suo nome, signorina.” disse l’ingegnere.
“Mi chiamo Susanna”.
“Susanna! È un nome da bambina.”
Commentò con una smorfia ironica.
“Io con questo nome sto diventando grande.”
Reagì la ragazza.
“È proprio un bel nome!”
Disse con decisione la signora Alma sedendosi con tazza di tè in mano vicino al marito.
Susanna aveva spento la sigaretta a metà, con un gesto nervoso, e appoggiata la schiena alla poltrona assaporava lentamente il tè.
“È buono.”
Mormorò.
Otello stava girando lo zucchero nel suo caffè e aveva ancora davanti a se, sul tavolo, il bicchiere della grappa pieno. Guardava le labbra umide di Susanna appoggiarsi al bordo della tazza ed aprirsi appena a bere il tè. Erano mesi che non aveva l’occasione e la volontà di osservare, con tanta attenzione, una giovane donna e quella sera lo faceva con una strana e sfrontata costanza, cercando dettagli e particolari.
Da oltre un anno aveva interrotto, suo malgrado, con con uno strappo brutale, una storia d’amore che durava da tantissimo tempo. Fin da ragazzino aveva amato Laura e la sua lontananza, ora, gli struggeva continuamente l’animo e lo rendeva cupo, assente e pieno di rimorsi. Nessuno aveva capito la sua improvvisa scelta di abbandonare gli studi e di avventurarsi in quello strano lavoro che lo aveva portato lontano da casa: nessuno l’aveva capita e nessuno l’aveva condivisa. Laura aveva rifiutato di seguirlo e, piangendogli sulle labbra, gli aveva giurato che non l’avrebbe aspettato.
Ora, a ventisette anni, a cinquecento chilometri da casa, senza la sua donna, senza amici e legami forti, con rari contatti con la famiglia, si sentiva un essere sradicato, un solitario indurito e quasi privo di sentimenti.
Solo, ogni tanto, con la memoria, faceva un bagno doloroso nella nostalgia della sua giovinezza, che, con le sue stesse mani, aveva chiuso forse troppo presto.
Fine parte seconda – continua –