VITE DIFFICILI
Fu la più brutta notte di novembre che memoria d’uomo ricordasse. Pioveva a fumi, con violenza terribile. Il vento schiantava le cose, le case e la natura come un pazzo furibondo. L’illuminazione elettrica non esisteva più, solo i lampi delle saette nel cielo nero davano contorni improvvisi e fatui alle colline intorno. Tuoni imperiosi zittivano il vento che, però, subito riprendeva a soffiare più folle che mai. Pareva che la terra volesse aprirsi, spaccarsi, deformarsi e cedere alla violenza del cielo.
Il giovane Otello, sulla sua auto, seguiva con tensione le linee bianche segnate sull’asfalto dell’autostrada. I fari illuminavano a fatica e cercavano disperatamente punti di riferimento sulla carreggiata. Otello dava colpetti nervosi al volante per ridare all’auto, sballottata dal vento, la giusta direzione. Il piede destro poggiava delicatamente sull’acceleratore e spesso scattava improvviso sul pedale del freno.
La radio aveva ripetuto diverse volte l’invito a non mettersi in viaggio in quelle ore. La protezione civile era allertata. Otello rimpiangeva di aver voluto, comunque, partire quella sera. Aveva ancora almeno due ore di autostrada prima di arrivare a casa e, con quel tempo, chissà come sarebbe andata.
Spense la radio per concentrarsi meglio sulla guida.
La macchina continuava a essere investita e sbatacchiata da feroci raffiche di vento.
Gli alberi, sulle colline ai lati dell’autostrada, piegavano dolorosamente le fronde.
Ancora lampi e ancora tuoni, schianti e scossoni.
Otello vide davanti a sé i piccoli retrofari rossi di un’altra macchina e adeguò la sua velocità per seguire chi lo precedeva e gestire più facilmente la direzione.
Guidava piano con la mandibola contratta. Vide nello specchietto retrovisore due fari che si avvicinavano velocemente, ingrandendosi. In pochi secondi un grosso autotreno lo affiancò e sorpassò roboando, a velocità folle con quel tempo; il rimorchio, vuoto e leggero, sbandava paurosamente; l’acqua schizzata dalle ruote si schiantò sul vetro della macchina coprendo, per un attimo, tutto.
Otello frenò per fare allontanare il bestione e maledì di cuore il camionista.
Riaccese la radio e infilò una cassetta nello stereo per farsi un po’ di compagnia e di coraggio.
Sentiva le sue mani sudate e avvertiva una crescente smania che gli pervadeva il corpo.
Dopo un’ampia curva cominciò a vedere, in lontananza, le luci blu delle giranti della polizia e quelle gialle e arancio di automezzi da lavoro. Rallentò ancora. Quando fu vicino si accorse che la strada era interrotta e che era segnalata un’uscita obbligatoria. Un agente della polizia stradale, irritato e imbacuccato, agitava la paletta e indicava la deviazione. Al casello l’impiegato spiegò che un torrente di pietre e fango era caduto, mezz’ora prima, sull’autostrada, interrompendola in tutti e due i sensi:
“Pare che ci sia rimasto sotto qualcuno. – disse – E’ un disastro e dicono pure, che il tempo potrebbe anche peggiorare. I fiumi sono in piena e le colline cadono a pezzi. Chi può è meglio che fermi la macchina. Arrivederci”.
Otello segui le indicazioni del casellante.
Percorsi un paio di chilometri, all’ingresso di un paesotto vide l’insegna di una piccola pensione. Bisognava svoltare a destra e infilare una breve discesa, perché l’edificio sorgeva in mezzo a un ampio piazzale sterrato posto un paio di metri sotto al livello della strada. Svoltò, percorse la discesa, oltrepassò un grande cancello d’ingresso ed ebbe accesso all’ampia spianata.
D’improvviso si trovò illuminato, sul suo fianco sinistro, dai due grossi fari di una vettura che, a velocità sostenuta, lo schivò, imboccò la salitella e si immise sgommando sulla strada.
Otello, sorpreso, aveva inchiodato la sua macchina e ora si ritrovava immerso nel buio:
“Va bene che avrai anche fretta – pensò – ma con questo tempo dove vuoi correre?”.
Otello reinnestò la marcia e si avvicinò lentamente alla casa illuminata dai fari dell’auto. Ben presto vide che si trattava di una antica casa colonica, ben ristrutturata.
Sembrava accogliente.
Nel parcheggio c’erano già diverse auto in sosta.
Il giovane si senti subito un po’ meglio. Si infilò giacca e impermeabile e scese dall’auto; fece una decina di metri di corsa, sotto l’acqua e il vento: quando fu al coperto era già fradicio.
Al bancone della ricezione c’era una giovane donna:
“Mi dispiace – lo informò – ma non abbiamo più camere; comunque, se si vuol fermare, non la manderò certo via con questo tempo. Certo dovrà accontentarsi di una sedia o, al massimo, di una poltrona. Nella sala della televisione ci sono già altri signori; si accomodi pure, prego”.
“Grazie, signora”
“Sandra, mi chiami pure Sandra” disse lei con una espressione del volto che a Otello sembrò velata di malinconia.
La sala della televisione era abbastanza grande, con due divani da tre posti messi ad angolo e due poltrone sul lato opposto; in mezzo, sopra un tappeto, un tavolo da fumo ovale con il piano in vetro. Di fronte al divano centrale c’era la televisione; dietro alle poltrone un mobiletto con giornali e riviste.
La luce era spenta e la tivù accesa trasmetteva un film in bianco e nero.
Sul tavolo c’erano due candelieri con le candele spente, ma ancora fumanti; un accendino e, sul mobiletto, una di quelle luci al neon che si accendono quando viene a mancare la corrente.
“Buonasera” disse Otello entrando.
“Buonasera” risposero, in gruppo, i presenti, girandosi a osservare il nuovo arrivato.
La porta d’ingresso era sulla parete a cui era appoggiato anche il televisore e così tutti poterono facilmente vederlo entrare. Li aveva, praticamente, di fronte, illuminati dai bagliori della televisione. Sul divano alla sua destra c’era una giovane ragazza; accanto a lei una signora e un signore entrambi sulla cinquantina stavano chiacchierando tra loro a bassa voce.
Sull’altro divano si trovavano da un lato un uomo più attempato e grassoccio e dall’altro un giovanottone robusto e accigliato il cui viso era reso ancora più serio da due grossi baffi neri.
La poltrona a fianco del divano era occupata da un distinto signore, di circa quarant’anni, in giacca grigia e con la cravatta ben stretta alla gola.
Otello appese l’impermeabile e la giacca all’attaccapanni e, dopo aver avuto conferma che era libera, si abbandonò sulla poltrona più vicina al televisore e alla porta. Sospirò con sollievo e, finalmente, si sentì rilassato.
Fece attenzione, per la prima volta da quando era entrato, alla televisione: un Sordi già adulto era impegnato in un improbabile esame universitario:
“Mi scusino lor signori – lamentava – ma sono dodici anni che io non frequento più l’università.”
Otello aveva di fronte la giovane ragazza che guardava il film con aria ironica e soddisfatta.
Un leggero velo di stanchezza le cerchiava gli occhi, ma la si intuiva carica e motivata.
La camicetta bianca le accarezzava i seni e si infilava sinuosa, giù per il ventre piatto, dentro una corta gonnellina grigia spigata.
La gonna era salita su, sulle gambe incrociate ai ginocchi.
Otello alzò gli occhi e incrociò lo sguardo infastidito della ragazza; le sorrise, sfrontato, poi ritornò, con calma, a guardare il video.
“Per piacere – implorava Sordi – mi faccia una domanda più semplice”.
L’uomo grasso sul divano ridacchiava divertito.
“Quanti anni ha lei?”
E Sordi: “Trentatre.”
“Come mai così in ritardo?”
“Ho fatto la guerra, ho fatto la Resistenza … Ho mia moglie e mia suocera, fuori, che mi aspettano”.
“Be’?”.
“Vi prego, non mi fate fare questa brutta figura”.
Si vide, fuor di finestra, un lampo, il televisore si spense, poi un tuono, un boato più forte degli altri.
Automaticamente si accese la sterile luce del neon.
“Questo è picchiato vicino” disse il giovanotto robusto alzandosi per accendere le candele.
Entrò Sandra, con una torcia elettrica in mano:
“Ero al telefono con la stazione dei carabinieri. – annunciò – Mi hanno detto che sconsigliano vivamente di rimettersi in viaggio. Ci vorranno ore prima che riaprano l’autostrada e anche la statale è molto pericolosa. Ci sono frane e smottamenti ovunque. Io purtroppo non posso offrirvi altro che questa stanza e la mia cucina: se qualcuno vuol mangiare o bere qualcosa, o prendere un caffè”.
“Grazie, signora, io un caffè lo prenderei volentieri”
Disse subito l’uomo grasso e, dopo di lui, anche tutti gli altri accettarono l’offerta.
“Va bene – disse Sandra – visto che siamo senza corrente li prepareremo con la vecchia caffettiera.”
La signora di mezza età si alzò dal divano:
“Vengo ad aiutarla, così mi muovo un po’.”
“Venga pure signora”.
Le due donne uscirono guidate dal piccolo fascio di luce della torcia.
Fine parte prima – Continua –