A quel punto non avevo più tempo da perdere; mi infilai un palo di jeans e corsi all’ufficio. Avevo avuto una delle mie idee geniali: nessuno come me era in grado di risorgere dalle ceneri, di uscire alla meglio dalla peggiore delle situazioni.
Insomma, l’auto di rappresentanza della ditta mi stava aspettando! Si! La bella BMW blu, quella con cui scarrozzavamo i clienti importanti era sempre parcheggiata, bella linda, nel garage sotto l’ufficio e io potevo facilmente arrivare alle chiavi.
Se, come mi aveva detto, a Giorgia piacevano gli accompagnatori eleganti e raffinati, io, con quell’auto, avrei fatto una figura straordinaria. Da casa mia alla sede della mitica “General import-export srl” c’erano circa quattro chilometri che vennero coperti, in bicicletta, a tempo di record. Arrivato alla palazzina corsi al primo piano dov’erano gli uffici e mentre stavo per infilare la chiave nella toppa sentii all’interno delle voci e mi accorsi che il portoncino d’ingresso era ancora aperto.
“Che schifo – dissi ad alta voce – è sciopero e questi lavorano fino alle otto di sera! Andrebbero presi a coltellate!”.
Entrai con passo risoluto.
“C’è il capo?” chiesi.
Giovanni e Francesca erano ai loro tavoli di lavoro: uno era intento al computer, l’altra gli stava dettando delle cifre. Alzarono gli occhi e mi guardarono con aria schifata.
“Buonasera” disse lui.
“Sei venuto a lavorare?” fece lei con tono inutilmente provocatorio.
“C’è il capo?” ripetei io, deciso.
“No – disse Giovanni – è partito un’ora fa per il week-end: questa settimana lo passa in Sardegna. A quest’ora sarà già all’aeroporto”.
“Ha preso la Mercedes?” chiesi con terrore.
“No, è andato via con la sua; ma a te che te ne frega?”.
“Ho capito – recitai – qui mi tocca fare tutto a me: sono arrivati dei clienti e me li dovrò curare io. Così lavorerò anche stasera, stanotte e poi domani e domenica. Vabbe’, prendo la macchina e vado. Ciao”.
“Oh – mi richiamò Giovanna – ma quali clienti, qui non ha telefonato nessuno e nessuno ci ha avvisato…”
“Sono arrivati all’improvviso, mi hanno chiamato dall’aeroporto: hanno chiamato a casa mia convinti che fosse il numero dell’ufficio …”.
“Sì – insistette Giovanna – ma chi sono, di che ditta?”.
“Sono … inglesi – inventai -, sì, inglesi. Si tratta di una delegazione di una grossa aziendaa cui sto dietro da tempo. Non hanno ancora comprato niente da noi, ma presto lo faranno. Si, ci faranno degli ordini straordinari. Io sono convinto che se me li lavoro bene ordineranno e riordineranno ancora. Sì, te lo garantisco, questi qui stasera mi passeranno delle commesse straordinarie. Dopo che me li sarò lavorati come intendo io mi imploreranno di dargli
miei prodotti…”.
E uscii lasciandoli allibiti.
Quando fui nelle scale sentii che commentavano: “Quel ragazzo: è tutto pazzo. Un giorno o l’altro si metterà nei guai” disse lei.
“È solo un povero stupido e irresponsabile” chiosò lui.
“Andate a cagare” pensai io.
Tornai a casa di volata, tutto sudato per la corsa in bici e per lo stress. Ricominciai dalla doccia. Indossai, poi, un vestito blu, elegante, che avevo messo di recente in occasione di un matrimonio e con il quale avevo riscosso un buon successo; scelsi la cravatta e preparai, con cura, il nodo; mi guardai allo specchio e vidi che stavo proprio bene.
Continuai, per un po’, ad aggiustarmi i capelli e a ritoccare il nodo della cravatta; controllai le tasche: portafoglio, fazzoletto, chiavi, sigarette … era tutto al suo posto. Uscii di casa e mi misi al volante.
Avevo pensato di comprare fiori, magari delle rose, da portare in dono a Giorgia, ma il fioraio era già chiuso.
Ma non potevo arrivare a mani vuote, così mi fermai a comprare una scatola di caramelle, di quelle caramelle di grande qualità che sono confezionate dentro scatole di metallo tutte dipinte e lavorate. Caramelle avvolte in carta preziosa di tutti colori.
Insomma, una di quelle scatole di caramelle da rappresentanza con nastrino e coccarda blu che ti fanno fare bella figura più per il contenitore che per il contenuto.
Alle nove meno venti parcheggiai davanti a una villetta a due piani, mi avvicinai al cancello e, dopo aver controllato il nome sul citofono, suonai.
Il cancello si apri, senza rumore, automaticamente, senza che nessuno avesse risposto.
“Mi stava già aspettando” pensai.
Entrai con la mia bella scatola di caramelle in mano. Era buio, ma il vialetto di pietra che attraversava i1 piccolo giardino era illuminato da eleganti faretti mentre qualche luce spuntava anche nel prato, qua e là, irradiando piante, fiori e cespugli. Tutto era molto ben curato.
Il giardino saliva dolcemente, all’inglese, poi, montando tre scalini, si arrivava sotto un piccolo porticato e, da qui, al portoncino. Rivolsi lo sguardo in alto: il cielo era ancora sereno e stellato, la luna grande e lucente irradiava il buio della notte e aiutava nel cammino.
L’aria era fresca, ma non fredda, eccitante semmai.
Io, che ostentavo a me stesso indifferenza e freddezza, avevo, come sempre in queste occasioni, un po’ di
agitazione nelle pieghe più nascoste della mia anima e le pulsazioni mi erano leggermente aumentate.
La porta d’ingresso era socchiusa e dentro mi aspettava un uomo.
Avrà avuto forse la mia età: una trentina d’anni, ma sembrava più giovane.
Quel giovane uomo aveva ancora sul viso un’aria da ragazzino sperduto, un ragazzino spiritato con gli occhi infossati e persi.
Aveva vestiti sgualciti e la fronte bagnata dal sudore.
Indossava un paio di pantaloni beige chiaro e una bella camicia bianca; teneva la mano destra in tasca e non la tirò fuori per stringere la mia, che gli avevo teso presentandomi.
“Buonasera, Stefano, sono Sergio, il marito di Giorgia – disse con tono anonimo -. Mia moglie la sta aspettando, venga”.
Io, che nella mano sinistra tenuta quasi nascosta dietro la schiena avevo la ridicola scatola di caramelle, mi sentii come un povero imbecille.
“Cominciamo bene” pensai.
Era una situazione che non avevo immaginato: antipatica e paradossale.
Improvvisamente ebbi il timore di essermi imbattuto in una di quelle coppie troppo benestanti e finte snob a cui piace provare emozioni strane e forti, che vogliono dimostrare di essere pronte a ogni avventura e che vien voglia subito di prendere a calci in culo.
Cercai di sganciarmi.
“Ma, guardi – dissi con finta non curanza – se avete da fare e disturbo per me non è un problema. Torno un’altra volta …”.
“Nessun disturbo, venga. La nostra discussione era già conclusa”,
Mi precedette nell’altra stanza; entrai con passo circospetto e attento: era una bella sala arredata con mobili d’antiquariato: una cassapanca, un piano bar, un mobile con un’alta vetrina, un grande tavolo ovale con otto sedie, divano e poltrone di alta qualità, un acquario di mare, enorme, con pesci splendidi e dai colori meravigliosi, un grammofono. Non c’era televisione, almeno in quella stanza.
Mi guardavo in giro cercando di non perdere di vista l’uomo, che, intanto, dopo aver tirato fuori dalla tasca sinistra una scatoletta d’argento, l’aveva deposta con gesto più che naturale sopra il piano piano bar.
“Di bene in meglio – mi dissi – questo sniffa che è un piacere. E’ bene che mi tolga subito dalle scatole”.
Il pavimento era di marmo bianco e rosso, a grandi scacchi, lucido come uno specchio; un paio di lussuosi tappeti orientali lo adornavano e impreziosivano. Alle pareti c’erano numerosi quadri e un grande specchio barocco.
L’uomo aveva scosso le spalle nervosamente e si era toccato il naso con uno scatto nervoso.
Sembrava aver ripreso il controllo di sé.
“Giorgia sarà pronta tra un attimo. Intanto che aspettiamo posso offrirle qualcosa da bere?”
Declinai: “No, grazie; non a quest’ora. Non bevo mai prima di cena, mi farebbe male. Sa – continuai con ironia – non sono abituato a esagerare”.
“Un aperitivo – insistette – un analcolico. Ne teniamo sempre in frigo”
“No, grazie!” risposi brusco.
La scatola di caramelle mi stava scivolando dalla mano che ora era sudata: era calda e umida e, per quanto cercassi di tenerla nascosta, mi pareva sempre che fosse in primo piano e mi sembrava che quel sorrisetto ironico sulla faccia di quel mezzo deficiente fosse lì apposta per ricordarmelo.
Avrei dovuto lasciarla sulla macchina quella maledetta scatola; avrei voluto spaccargliela nella testa.
Sergio si era seduto in poltrona, accavallando le gambe, con il busto eretto come un lord inglese.
“Si accomodi – mi disse – con uno strano tic nella bocca -, vedrà che non ci vorrà più molto. Sta arrivando il suo momento”.
“Che momento?” chiesi, sempre più di cattivo umore:
“Con Giorgia. Sa, a lei piace sempre stupire, le piace giocare alla donna straordinaria; eccedere.”
Si strusciava continuamente le mani sulla coscia destra, accavallata e sorrideva, o ghignava, assumendo espressioni falsamente sicure e tranquille che rendevano il suo volto da bambino insopportabilmente odioso.
Mi ero stufato.
“Senta – dissi – io capisco che questa situazione possa anche non piacerle, ma, mi creda, io non sapevo che le cose stessero così e neanche a me va a genio. La saluto. Saluti, da parte mia, la sua signora e mi scusi con lei se non l’ho aspettata. Arrivederci”
E feci per avviarmi verso l’uscita. Sergio si alzò in piedi, con uno scatto nevrotico.
“Ma dove va, ma dove va – gracchiò -, lei non sa cosa si perde. Aspetti, vado subito a chiamare la sua accompagnatrice. Abbia pazienza solo un attimo”.
Mi fermai.
“Ma si – pensai – vediamo dove vogliono arrivare questi due pazzi. E, se esagerano, li prendo a calci”.
L’uomo si diresse verso un’altra stanza.
Io gli voltai le spalle, gettai con gesto sprezzante, la scatola ormai fradicia sopra una poltrona e mi avvicinai al grande specchio per aggiustarmi i capelli e il nodo della cravatta, ostentando sicurezza e fastidio.
Ero proprio bello. Guardai me e, poi, guardai dietro di me.
Riflessa nello specchio vidi una porta chiusa e l’uomo che si avvicinava alla maniglia per aprirla. Di nuovo, nello specchio, mi apparve il piccolo cattivo carabiniere a cavallo: di nuovo quel mostruoso esserino si era lanciato alla carica contro di me e voleva infilzarmi. Per un attimo la vista mi si annebbiò e persi la cognizione delle cose reali. Senti il rumore della porta che si apriva e la voce stridula di bambino di Sergio.
“Venga, Stefano, è proprio il suo momento: Giorgia le vuole parlare”.
Mi voltai di scatto e andai verso la porta aperta. La povera donna era nell’altra stanza, seduta sopra una sedia: legata e imbavagliata.
Aveva un occhio tumefatto, il viso sformato dalle botte e dalla paura, il naso e la bocca sporchi di sangue, lacrime e saliva. Sul collo e sul seno che usciva dalla camicia strappata c’erano schizzi di sperma.
‘E’ tutto il pomeriggio che ci divertiamo – disse il pazzo – ma ora non ne abbiamo più voglia: in due soli non ci divertiamo più abbastanza. Ora che c’è lei il gioco è più interessante. O, forse, è solo giunto il momento di farla finita. Cosa ne pensa Stefano, le va di giocare?”
Terrore, sgomento, rabbia mi riempirono il cuore, che non riuscii a contenerli insieme.
Feci due passi verso la porta, per fuggire.
Mi fermai.
Sono tutto sudato, mi gira la testa, gli occhi mi bruciano e il cuore, dentro, mi prende a calci il petto per cercare di aprirsi un varco e fuggire da quello strazio.
Rabbia! Mi prende tanta rabbia. Lo voglio scannare, sì! Lo voglio veder soffrire quel porco!
Il tempo mi pare immobile; tempi della mente sono immensamente più veloci di quelli dei fenomeni: ho già pensato a un milione di cose e nessuno ha ancora mosso un muscolo.
Lei implora aiuto con gli occhi tumefatti, o, forse, mi chiede di fuggire.
Corro, corro per andare a liberarla.
Sergio si mette tra me e Giorgia e, finalmente, infila la mano destra nella tasca, rapido, la ritira fuori e in pugno tiene una piccola pistola da borsetta, alza il braccio e mi appoggia la canna alla fronte.
E’ un attimo terribile.
Sento le gambe che mi cedono dalla paura; vedo dietro al pazzo lo sguardo disperato di lei; vedo gli occhi di lui incavati e cattivi e ora capisco: sono gli occhi del piccolo carabiniere a cavallo.
Ma è così tardi: sento il grilletto scattare e l’esplosione del colpo, la pallottola mi buca la fronte, il cervello si schianta.
Il sangue, da dentro o da fuori non so, mi copre gli occhi come un sipario che cala.
Cado.