Di fronte alla complicata gestione del Covid-19, da più parti e a più livelli decisionali si ritiene improcrastinabile un radicale cambio di strategia nelle politiche nazionali per la Salute e si riversano tutte le aspettative nelle risorse attese dal Recovery Fund e dagli altri sistemi di finanziamento europei.
In realtà è l’intero sistema nazionale che ha il dovere di attingere ai propri migliori anticorpi per uscire da questa drammatica situazione riformandosi, trasformandosi, progettando per le successive generazioni una società migliore, più equa e più organizzata.
Purtroppo, molte risorse economiche che ancora non abbiamo tecnicamente ricevute sono già state di fatto bruciate per far fronte alla contingente emergenza: dai così detti ristori, agli interventi sanitari straordinari, alle spese per i prodotti e i sistemi di protezione individuale e collettiva tanto nel pubblico, quanto nel privato.
L’unica caudina certezza è che per i prossimi trenta e forse più anni sull’Italia graverà un debito pubblico spaventoso: molto più grande di quello già insostenibile che scellerate generazioni di classe dirigente e di elettori avevano causato dagli anni Ottanta del secolo scorso fino al 2020.
Un debito pubblico, forse esclusa la Grecia, unico in Europa per la sua mole insopportabile.
Come tutti in Italia sappiamo, basta guardare la gestione economica personale o delle nostre famiglie o delle nostre piccole aziende, il debito, se si esclude l’idea di andare a rubare o truffare qualcun altro, si può ripagare soltanto aumentando le nostre entrate, con maggiore e/o migliore o differente e più remunerativo lavoro o tagliando le spese, oppure vendendo qualcuna delle nostre proprietà.
In verità quelli più svegli o furbi riescono pure a campare allegramente tutta la vita galleggiando nel proprio debito, ma alla loro dipartita, quel debito resta in collo agli eredi o al malcapitato creditore.
Detto che l’Italia molti gioielli di famiglia se li è già venduti o se li è visti azzerare nel valore è bene sapere che il debito del nostro Paese, secondo lo studio elaborato dalla società di consulenza, ricerca economica e sviluppo software Prometeia, nel 2018 era detenuto per l’8% da istituzioni europee, per il 17% da banche centrali, per il 40% da operatori nazionali, per il 20% da operatori esteri e il rimanente 15% era classificato come altre passività.
Ovvio che queste percentuali al 31 dicembre 2021 saranno sensibilmente redistribuite aumentando probabilmente la percentuale di credito nelle mani delle istituzioni europee.
Se il rapporto debito pubblico / prodotto interno lordo nel 2018 era al 132,2%, oggi, dopo un pesante anno di pandemia e a fronte di una concomitante diminuzione del valore assoluto del Pil, sfiora il 160%, un livello da brividi.
Ecco che se vogliamo veramente riformare l’Italia per garantire un futuro migliore alle prossime generazioni dobbiamo essere capaci di interpretare e tagliare i gravi problemi antichi e recenti che hanno affossato la nazione: dalle mafie al malaffare; dalla burocrazia alla mancanza di competitività; dall’inquinamento al dissesto idrogeologico; dalla mancata valorizzazione del patrimonio storico archeologico e paesaggistico a quella delle imprese del turismo, delle trasformazione e della manifattura; dalla ricerca all’innovazione; dalla formazione alla scuola; dai diritti dei lavoratori e dei non occupati e quelli civili e umani e, ovviamente, dalla sanità pubblica ai servizi sociosanitari territoriali.
Molte delle risorse economiche che riusciremo a mettere in campo andranno utilizzate per riformare l’attuale modello organizzativo di questa Sanità delegata alle Regioni che ha prodotto una evidente sperequazione nella qualità dell’offerta tra le diverse Regioni e troppi contenziosi tra lo Stato e le Regioni.
Ritengo che sia indispensabile mettere a regime un modello di sanità a due velocità: una in tempo di pace, che ritengo giusto rimanga gestita dalle Regioni ma con verifiche serie e non soltanto rituali da parte dello Stato perché a tutti i cittadini italiani va garantita una Sanità pubblica di qualità, efficace ed efficiente e con livelli di eccellenza in tutte le regioni: costringere le persone malate a pellegrinaggi extraregionali è una vergogna che deve essere estirpata; l’altra in emergenza, centralizzata, sotto il controllo e la decisione del Ministero della Salute, del Governo e del Parlamento.
Ma una parte rilevante della partita destinata a garantire la salute e il benessere dei cittadini si giocherà sul territorio e non solo dentro gli ospedali.
Il modello delle Società della Salute sperimentato negli ultimi tre lustri con fatica, limiti e contraddizioni dalla Regione Toscana deve essere studiato e rivitalizzato: va istituzionalizzato, ne vanno riscritte per legge le regole dello stare insieme tra Comuni e AUSL, vanno formalizzati i modelli di contratto di lavoro per i dipendenti, ne va definita la governance democratica e i sistemi di partecipazione alle scelte dei cittadini singoli e associati e del sistema cooperativo e associativo che esercita, gestisce e fornisce i servizi sociosanitari.
Le nuove tecnologie: dall’informatica, alla domotica, alla robotica vanno messe a disposizione per l’attivazione di nuovi e migliori servizi a sostegno delle persone non autosufficienti.
Anziani, diversamente abili, persone con problemi di salute mentale hanno diritto ad avere una qualità della vita soddisfacente, rasserenante, dignitosa: per loro, per il loro futuro, per i loro familiari vanno investite bene molte risorse al fine di garantire residenzialità, autosufficienza e dove possibile occupazione e lavoro.
Va costruita sui territori una vera rete di Case della Salute.
Scrivo “vera” per chiarire che non basta imbiancare quattro stanze e mettere una targa sulla facciata di un palazzo per avere una Casa della Salute.
La Casa della Salute è quella della Croce Bianca di Querceta nel Comune di Seravezza, ad esempio: bisogna che i tecnici delle regioni e delle SSN vadano a visitare la Casa della Salute di Querceta (e tutte le altre realtà di similare eccellenza che ci sono sicuramente in Italia) la studino, prendano appunti e ne rilevino un modello da esportare in tutte le Zone di Distretto Socio-Sanitario toscana e in Italia.
Quelli sono luoghi nei quali si riesce a fare informazione, formazione, prevenzione e nei quali si forniscono servizi essenziali sia in campo sanitario che sociali: qui si è al fronte, si è ben piantati nel territorio e si rende meno gravosa e migliore la vita dei cittadini. Qui si possono organizzare anche le prime efficaci risposte alle fasi di emergenza.
La stessa cosa vale per le Residenze Sanitarie Assistenziali, per gli Hospice, per le Case-famiglia, per i Centri Diurni, per i Cohousing.
Tantissimo ci sarà da fare per l’educazione e la formazione alla salute: buona parte della rapida diffusione del virus non si deve solo alla forza del virus stesso, ma è causata dalla ignoranza, dalla maleducazione, dall’arroganza di tanti, troppi, cittadini che negano la realtà, che la sfidano, che ritengono possibile fare i furbetti anche contro le malattie.
Le Istituzioni devono essere più capaci e brave nel formare buoni cittadini e devono dimostrare anche di saper essere eque, ma inflessibili.
Gli evasori fiscali, gli evasori dello scontrino, gli evasori della raccolta differenziata, gli evasori delle file sono propensi a trasformarsi in evasori delle mascherine, del gel e dei divieti di spostamento e sono pure capaci, al momento giusto, di essere evasori di categoria per avere il vaccino prima del suo giusto turno.
Ecco, alla fine, se vorremo essere giusti nei confronti dei nostri pronipoti, più che l’Italia dovremo provare a cambiare gli italiani: cosa, in verità, che stiamo faticosamente provando a fare fin dai tempi, assai remoti, del buon Massimo Taparelli marchese d’Azeglio.
Ettore Neri
27 marzo 2021